La ricerca scientifica è un investimento
venerdì 14 maggio 2021

I governi italiani, da anni, hanno sempre considerato la ricerca scientifica una spesa soggetta a continue 'limature' anziché ritenerla un investimento essenziale per ottenere quella innovazione che rappresenta la base per la realizzazione di prodotti ad alto valore aggiunto indispensabili per il progresso economico di un Paese. Il risultato di questa politica è che nell’ambito delle nazioni europee ci troviamo sempre agli ultimi posti, considerando vari parametri.

Ad esempio, fatte le correzioni per la numerosità della popolazione, abbiamo circa il 50 per cento dei ricercatori rispetto alla media europea. Analogamente siamo molto in basso nel sostegno economico alla ricerca da parte pubblica, ma anche le industrie private spendono molto meno delle industrie europee. Il numero dei dottorati di ricerca è fra i più bassi d’Europa, mentre è molto elevato il numero dei nostri ricercatori che emigra all’estero ed è spesso in prima linea come abbiamo visto in questo triste periodo di contagi, ospedalizzazioni e morti da Sars-CoV-2.

Eppure i nostri ricercatori hanno una produzione scientifica che non è sostanzialmente diversa da quella dei loro colleghi esteri molto più considerati. Il problema è che per affrontare importanti problemi della ricerca di questi tempi non è sufficiente avere delle buone teste, occorre averne molte per formare quelle masse critiche dotate, oltre che di moderne tecnologie, anche dell’abitudine alla collaborazione. Se si considera che, in aggiunta alla miseria dei finanziamenti, esiste una burocrazia incapace di programmare, ma efficace nel rallentare la sperimentazione animale e clinica, il quadro è tutt’altro che entusiasmante. Chi resiste a fare ricerca in Italia deve essere veramente un appassionato! La nuova importante opportunità offerta dagli ingenti fondi del Next Generation Eu potrebbe rappresentare una condizione per cercare di ricuperare il tempo perduto, ma l’impressione è che il cambiamento di mentalità sia ancora molto lontano.

Una delle idee che sono circolate riguarda la possibilità di realizzare istituzioni di eccellenza. Molte voci si sono levate contro questa iniziativa. Non si può che essere d’accordo. Non abbiamo bisogno di cattedrali nel deserto, abbiamo bisogno di aumentare il livello medio perché è quello che conta per avere una ricerca efficace e per far sorgere gruppi di eccellenza. Dobbiamo intanto aumentare il numero di ricercatori che siano dotati di un minimo di risorse per poter lavorare. Dipenderà poi dalle loro capacità aggregare altri ricercatori. Ad esempio, nelle scienze della vita, quelle che hanno a che fare con la salute, con un miliardo di euro, dedotti 100 milioni di euro per attrezzature moderne, si possono realizzare 9mila posti di lavoro da 100mila euro per anno che possono servire per pagare uno stipendio decente e avere i fondi per poter iniziare a lavorare. Ovviamente se si vuole investire un miliardo in più all’anno per 5 anni possiamo arrivare ad avere 45mila ricercatori in più degli attuali, avvicinandoci in questo senso a Francia, Germania e Regno Unito. Tuttavia non basta.

Occorre avere in aggiunta bandi di concorso su problemi di interesse nazionale o in collaborazione con altri Paesi che permettano di crescere al 'sistema ricerca'. Oggi in Italia, nei bandi di concorso per progetti di ricerca viene finanziato circa il 5 per cento dei progetti presentati, una miseria rispetto al 35 per cento della Germania, al 30 per cento dell’Olanda e al 50 per cento della Svizzera. È chiaro che in questo modo perdiamo la possibilità di finanziare molti buoni progetti sviluppati da Università, Consiglio nazionale delle ricerche e Fondazioni non-profit. Alcune aree di ricerca dovrebbero richiedere progetti presentati da più enti per aumentare le possibilità di utilizzare tecnologie diverse per lo stesso obiettivo.

Tutto ciò deve essere organizzato da un’Agenzia Italiana per la Ricerca Scientifica, sottratta alle regole della Amministrazione Pubblica, per poter essere snella, efficiente ed indipendente dalla pressione dei partiti politici. In questo periodo di programmazione che è ancora preliminare e modificabile occorre un’azione collegiale da parte di tutti i ricercatori indipendentemente dall’ente di appartenenza, puntando alla necessità di avere una ricerca efficace per la salute e l’economia del nostro Paese. È un’occasione che non possiamo perdere per noi e per i giovani che aspirano a essere ricercatori.

Presidente Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs

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