mercoledì 9 agosto 2023
Il conflitto mette alla prova le complesse strategie internazionali di Xi e le sue relazioni con Usa e Russia. Pechino non vuole voltare le spalle a Mosca ma non auspica una vittoria russa
Matrioske con le immagini di Xi e Putin in vendita a Mosca

Matrioske con le immagini di Xi e Putin in vendita a Mosca - Ansa

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La partecipazione della Cina al vertice di Gedda, in Arabia Saudita, per la pace in Ucraina ha sorpreso molti. Ma è in linea con l’approccio cinese basato fin dall’inizio sul rispetto della sovranità nazionale. Se appare così difficile capire le intenzioni di Pechino è anche perché la posizione cinese è stata al centro di un’intensa battaglia politico-diplomatica iniziata ancor prima dell’aggressione russa.

Nel febbraio 2022, Putin ha partecipato all’apertura delle Olimpiadi invernali a Pechino – boicottate dagli occidentali – stipulando un patto di «amicizia senza limiti» con Xi Jinping. Ma probabilmente non ha informato l’“amico” Xi delle sue intenzioni. Obiettivo: mettere Pechino di fronte al fatto compiuto, obbligandola a schierarsi dalla parte di Mosca. D’altra parte, per mesi, gli Stati Uniti hanno mostrato a diplomatici cinesi prove dei preparativi russi – con l’obiettivo opposto di spingere la Cina contro Putin – che presumibilmente non hanno convinto Pechino. Così, dopo il 24 febbraio 2022, la Cina si è trovata in una posizione scomoda, tirata in due direzioni opposte.

In questa guerra l’interesse nazionale cinese non coincide con quello di nessuna delle due parti.

Quella scatenata contro l’Ucraina, infatti, è la “guerra di Putin”: appoggiarla significherebbe mettersi a rimorchio di Mosca. Ma non è possibile ignorare il patto di «amicizia senza limiti» e, soprattutto, pesa una lunga storia di rapporti difficili con la Russia, un nemico storico con cui la Cina condivide migliaia di chilometri di frontiera. È comprensibile che oggi Pechino cerchi di mantenere buoni rapporti con un vicino così pericoloso.

Altri aspetti avvicinano i due grandi Paesi, come forme di potere politico centralizzato e autoritario e, soprattutto, la percezione di un nemico comune, l’Occidente, che favorisce anche una convergenza nei rapporti con il cosiddetto Sud globale. Se la Cina non può augurarsi né una sconfitta della Russia né un tracollo di Putin, per Pechino non è auspicabile neanche una troppo netta vittoria russa.

Sull’altro fronte, i rapporti con l’Ucraina erano buoni prima e lo sono rimasti anche dopo l’inizio della guerra. Ma per Pechino conta soprattutto che l’Occidente stia con l’Ucraina. Anche in questo caso la storia conta molto. In Cina la propaganda nazionalista mantiene vivo il ricordo del “secolo dell’umiliazione” attribuita al semi-colonialismo europeo. L’eredità della Guerra fredda è invece bivalente: dopo il 1970, la comune avversione antisovietica ha aperto la strada alla collaborazione con gli Usa, decisiva per il decollo economico cinese. Ma, intorno al 2007-08, è iniziato un distacco crescente fino a far parlare di “nuova guerra fredda”, anche se tra Cina, Usa ed Europa i legami economici, finanziari e tecnologici ormai consolidati li obbligano a continuare il dialogo.

Tutto ciò ha spinto Pechino verso la neutralità. Ufficialmente, il governo cinese ha sposato la narrazione russa, non ha mai usato la parola guerra e ha parlato di responsabilità della Nato. Ma la Cina «non voleva che la situazione arrivasse a questo punto» (Xi Jinping) e «sostiene fermamente il rispetto e la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i Paesi» e, specificamente, dell’Ucraina (Wang Yi). Pechino inoltre non ha riconosciuto le repubbliche di Donetsk e Luhansk, come non ha riconosciuto l’annessione della Crimea nel 2014.

La guerra contraddice «un concetto di sicurezza comune, completa, cooperativa e sostenibile» sostenuto dalla Cina e ostacola la cooperazione multilaterale e le dinamiche di globalizzazione difese da Pechino contro il cosiddetto decoupling. Non sappiamo molto dei contatti riservati tra dirigenti cinesi e i loro omologhi russi, ma dopo l’incontro con Xi nel settembre 2022 a Samarcanda, Putin ha dichiarato di comprendere «le preoccupazioni della Cina sulla questione ucraina». Sul piano concreto il sostegno cinese a Mosca è stato limitato: non risultano aiuti militari consistenti e nel settembre 2022 la stampa internazionale ha sottolineato la delusione russa per mancati aiuti economici cinesi. Pechino infine ha protestato duramente contro le sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia, ma sembra che in gran parte non le abbia disattese.

Con gli occidentali particolare importanza hanno avuto i contatti diretti tra Biden e Xi, preparati da quelli di Sullivan con Yang Jiechi, prima, e con Wang Yi, dopo. Nella telefonata del 18 marzo 2022, Biden ha detto che «la Cina deve stare dalla parte giusta della storia» e non aiutare i russi nella loro «brutale aggressione, se non vuole incorrere in implicazioni e conseguenze non solo da parte americana ma mondiali».

«Spetta a chi ha messo il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo» gli ha risposto Xi, ributtandogli la palla. In Occidente si è affermato il sillogismo: se la Cina volesse davvero la fine della guerra in Ucraina, fermerebbe Putin, ma poiché non lo fa non è affatto neutrale e sta con la Russia.

Pechino invece pensa che intervenire su Putin significherebbe non essere più neutrali. Ma quella telefonata ha fatto pensare al presidente americano che Pechino non stia totalmente dalla parte della Russia e condivida in parte le preoccupazioni occidentali. I rapporti sino-americani sono poi precipitati nell’agosto 2022 con la visita – che forse Biden non voleva – di Nancy Pelosi a Taiwan, il tema di maggior contrasto tra Usa e Cina. Ma, dopo il XX Congresso del Pcc, con il terzo mandato a Xi, nel novembre 2022 c’è stato un importante incontro in presenza tra i due presidenti, al G20 in Indonesia: durato tre ore, ha dato la sensazione di una svolta.

Dopo il gelo causato dalla vicenda del pallone-sonda cinese sui cieli degli Stati Uniti, i media occidentali hanno negato qualunque credibilità ai passi di Pechino per avvicinare Russia e Ucraina. Una qualche svolta, tuttavia, c’è effettivamente stata, con le visite in Cina di Blinken, Yellen e Kerry tra giugno e luglio 2023, cui è seguito un recente invito negli Usa per Wang Yi. I rapporti sino-americani mostrano che i contatti diretti sono sempre positivi, così come lo è la capacità di distinguere i diversi problemi (politici, economici, ambientali) senza confonderli nel calderone di una “nuova guerra fredda».

Pechino ha spesso insistito che l’appiattimento europeo sulle posizioni Usa non è nell’interesse di un’Europa gravemente danneggiata dalla guerra e ha guardato ai Paesi dell’Europa occidentale come a possibili partner per un’iniziativa di pace. Si è mostrata sensibile ai gesti di attenzione dei leader europei: la visita di Scholz a Pechino ha prodotto un importante monito congiunto contro l’uso di armi nucleari più volte minacciato dai russi.

Ancora più importante è stato il viaggio di Macron in Cina, cui è seguita una sua dichiarazione di autonomia dagli Usa: il presidente francese è il leader europeo più aperto verso Pechino, mentre l’Ue spinge per ulteriori chiusure in un’ottica di de-risking. Più facile è stato per la Cina spendere la propria neutralità con i Paesi del Sud globale che ha guidato – insieme all’India – verso una sorta di “terza posizione”: si è parlato di Non Allineati del XXI secolo. Tale gruppo – che rappresenta la maggioranza della popolazione mondiale - è emerso soprattutto in sede di votazioni Onu.

Alla tormentata neutralità cinese è sembrata inizialmente corrispondere un’immobilità politico-diplomatica, ma poi qualcosa è cambiato. L’azione internazionale si è fatta più intensa, la Cina ha proposto un piano in 12 punti, Xi ha parlato al telefono con Zelensky e l’ambasciatore Li Hui è andato in missione in Ucraina e in Russia, anche se finora le speranze di mediazione sono state frustrate dai diretti interessati. Da Pechino sono inoltre venuti segnali di disponibilità a partecipare a un tavolo di pace con Usa, Europa e Cina, ma tale coinvolgimento richiederebbe il consenso di americani ed europei. Oggi, infine, emerge un’iniziativa dei Non Allineati del XXI secolo cui partecipa anche Pechino.




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