Un Natale che quest’anno potremo liberare da usanze né sacre né vive
sabato 19 dicembre 2020

Da decenni l’avvicinarsi del Natale suscitava in alcuni, come ci ha rivelato Karl Rahner, «più un segreto moto di stizza che una gioia al pensiero del fastidioso frastuono della festa e delle convenzioni sociali», che mettevano di malumore. In piazze, vie, negozi con merce di ogni genere, sempre più pieni di folla, per tutto il giorno venivano diffuse musiche natalizie, diventate stucchevoli, alternate a musiche che portavano in tempi e in luoghi lontani da quelli in cui si era. Tutto distoglieva dal soffermarsi sul dono che il Natale offre a coloro che sanno accoglierlo.

Né a soffermarsi su questo contribuiva l’allestire in casa un albero, illuminato da luci multicolori o, ma raramente e in fretta, un piccolo presepe. Per lo più ciò avveniva per rispettare usanze che nulla di sacro e di vivo arrecavano alla mente e all’animo. Erano lontani i tempi nei quali, nelle case, si incominciavano a preparare presepi già nel mese di novembre e, nelle chiese, molti partecipavano alle liturgie della Novena, durante la quale, sia nelle case sia nelle vie, zampognari venuti da lontano suonavano antiche e sempre nuove melodie natalizie.

Come si sa, fu san Francesco d’Assisi ad iniziare il presepe, facendo rappresentare nella Grotta di Greccio, nel Natale del 1223, la scena della nascita di Gesù a Betlemme descritta nel Vangelo di San Luca, con l’annuncio degli angeli ai pastori, e il loro andare ad adorare il Bambino, portando in dono prodotti, che potessero alimentare i suoi genitori.

A continuare ad allestire presepi nelle chiese furono i francescani, poi l’uso si estese anche alle case. Il presepe incominciò a divenire popolare nella Seconda metà del Quattrocento, dapprima in Toscana e poi nell’Italia Settentrionale e nel Napoletano. Raggiunse la massima diffusione nel Settecento con caratteristici presepi a Bologna, a Genova, in Sicilia, e specialmente a Napoli dove si elaboravano vere e proprie scenografie, con al centro la scena della Natività (capanna, la Madonna, san Giuseppe, il Bambino nella mangiatoia, il bue, l’asinello). In alto, nel cielo stellato, gli angeli. E poi I tre Magi che avendo come guida la cometa posta sull’alto della capanna, venivano dall’Oriente, portando in dono incenso, mirra ed oro che sarebbe stato molto utile a Giuseppe ed a Maria nell’imminente fuga in Egitto.

E la rappresentazione di ambienti reali (talvolta anche fiabeschi) con coloro che lì vivevano e sul come vivevano. Tutto tendeva a congiungere il tempo e l’eternità. Questo particolare e imprevisto 2020 ha allontanato alquanto «il fastidioso frastuono della festa», anche se non ha fermato le continue pubblicità, specialmente televisive, che identificano nelle merci il dono di Natale.

E ha concesso, a chi lo voglia, di poter ritrovare, almeno in parte, quell’incanto del Natale che sembrava irrimediabilmente perduto, e di potersi preparare nel silenzio a ricevere l’autentico dono del Natale. Questo non consiste solo nel ritrovarsi, specialmente nella sera della Vigilia, nell’intimità familiare, nell’augurarsi, a voce o per iscritto, 'Buon Natale', nel dare o ricevere doni, nell’aiutare qualcuno che ha bisogno. Sono cose bellissime, che possono donare una certa letizia e una certa gioia, e che sono in sintonia con quella che, come scriveva nel 1982 il gran teologo e allora cardinale Joseph Ratzinger, «è la festa più umana della fede, perché ci fa percepire nella maniera più profonda l’umanità di Dio».

Ma il Natale è soprattutto il ricordo della nascita di Colui che con essa, la predicazione, la morte, la resurrezione ha annunciato e testimoniato che ogni uomo viene da Dio e e va verso Dio, e lo ha reso partecipe della natura divina, come disse, in un suo famoso discorso per il Natale, san Leone Magno, che fu Papa dal 440 al 461 d.C. Karl Rahner, che era a sua volta un gran teologo tedesco, invitava ad assumere un adeguato atteggiamento interiore, e a prepararsi a ricevere il dono del Natale con la riflessione, la meditazione, la preghiera, quantunque si fosse tra frastuoni e conversazioni sociali. È il compito che, nel 2020, si ripropone a tutti noi, tra le inquietudini, le paure, le angosce, le ansie suscitate e alimentate dall’epidemia globale.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: