giovedì 3 giugno 2010
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Caro direttore,non è facile orientarsi nella confusa e disordinata regolamentazione dei trattamenti economici di natura assistenziale per le diverse categorie di disabili. Cosa cambia con la manovra finanziaria del governo che ha preannunciato la riduzione della spesa in materia di invalidità civile, cecità, sordità, handicap e disabilità, nonché per le prestazioni di inabilità a carattere previdenziale erogate dall’Inps «ferma la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni», per gli addetti ai lavori? Il decreto legge della manovra, intanto, ha sancito per le domande presentate dal 1 giugno 2010, l’iniqua elevazione della percentuale di invalidità riconosciuta (non inferiore al 74%) nella misura pari o superiore all’85%. L’assegno di assistenza, infatti, spettava fino al 31 maggio 2010 ai cittadini di età compresa tra i 18 e i 65 anni, riconosciuti invalidi civili con una percentuale di invalidità compresa tra il 74 e il 99%: a condizione che tale percentuale non sia inferiore al 74% (fino al marzo 1992 la percentuale era non inferiore al 67%); il titolare non svolga attività lavorativa; l’invalido non sia titolare di altre prestazioni pensionistiche erogate dall’assicurazione generale obbligatoria per vecchiaia, invalidità e superstiti e di qualsiasi altro trattamento diretto pensionistico erogato a titolo di invalidità concesso per causa di guerra, di lavoro e di servizio. L’impoerto dell’assegno mensile in vigore è di euro 256,67, con un limite di reddito annuo assogettabile all’Irpef per averne diritto inferiore a euro 4408,95. Il gigionismo politico televisivo continua a giocherellare, a destra e a sinistra, sui tagli degli sprechi e dei privilegi che alimentano la disgregazione sociale e la povertà dei cittadini in difficoltà. Ma, nel vuoto della politica, le parti sociali e la Chiesa, che stanno dando prova di responsabilità collettiva, sapranno rimediare alle tante insensibilità e ingiustizie nei confronti dei più deboli?

Franco Coscia, Tortona

Caro direttore,non passa giorno che non si senta o si legga di falsi invalidi (ciechi che guidano moto o leggono il giornale, ecc…) e purtroppo debbo constatare come l’informazione al riguardo sia piuttosto lacunosa. Io sono stato dichiarato invalido per la prima volta nel 1978 e, in seguito a varie vicissitudini la mia invalidità si è progressivamente aggravata, passando da "superiore a un terzo" a "100%". L’iter per il riconoscimento dell’invalidità non è dei più semplici: occorre recarsi innanzitutto dal proprio medico di base, sottoporsi ad eventuali visite specialistiche a seconda della propria patologia, quindi si fissa un appuntamento con la commissione medica (composta in genere da cinque o sei specialisti), per il riconoscimento del grado di invalidità con tutto ciò che ne consegue (in positivo e in negativo). Se io fossi un falso invalido, in carcere con me dovrebbero venire il mio medico e gli specialisti presso cui sono in cura. Quindi, fatico molto a capire perché mai ci si dimentichi sempre dei medici che hanno attestato il falso (magari hanno pure intascato delle bustarelle, a fronte di false certificazioni). Invece i medici sarebbero i primi a dover pagare le conseguenze di certi atti fraudolenti, con la radiazione immediata dall’albo e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Mi chiedo e vi chiedo, come sia possibile che chi ha fatto il giuramento di Ippocrate si comporti in questo modo? Vi pare giusto che, una volta scoperto un falso cieco che guida la moto, non siano perseguibili i medici che lo hanno dichiarato cieco, perché il fatto è avvenuto 25 anni fa? Inoltre, perché nell’era dell’informatica e della telematica non c’è una maggiore coordinazione tra i vari enti pubblici (comuni, prefetture, asl ecc..)? Se solamente si facessero dei controlli incrociati tra i possessori di patenti e i percettori di pensioni di invalidità incompatibili con la guida, giusto per fare un esempio, quante truffe potrebbero essere smascherate in tempo utile per perseguire medici disonesti?

Fabrizio Dalla Villa, Villasanta (Mb)

Ha ragione, caro signor Coscia, non è affatto facile orientarsi nell’universo dei trattamenti economici previsti per le invalidità. E non lo è, prima di tutto, perché la questione è ormai pesantemente inquinata nel dibattito pubblico da quelle piccole e grandi truffe che inducono purtroppo ad accompagnare quasi automaticamente il concetto di «invalidità» con l’aggettivo «false». False invalidità, falsi invalidi, appunto. Sempre e rigorosamente al plurale, come se non parlassimo invece di singoli uomini e donne, di vicende individuali, di problemi personalissimi e mai sovrapponibili gli uni agli altri, di difficoltà ognuna a suo modo speciale. Si tratta di un risultato, a mio giudizio, drammatico perché mostra e dimostra come l’abuso possa arrivare a macchiare e impacciare persino essenziali strumenti di solidarietà nei confronti dei più deboli. A pagare per questo sono proprio i più fragili, i più segnati dalla vita. E lei, gentile lettore, lo spiega bene. Così come il signor Dalla Villa riesce a esprimere il senso d’indignazione di un vero invalido davanti ai raggiri che "producono" falsi invalidi. Torneremo sull’argomento in sede di cronaca e di approfondimento, statene certi. Per intanto posso dire di considerare con tutto il possibile allarme una politica che di fronte al problema reale del «boom» delle invalidità non si occupa innanzi tutto di individuare strumenti efficaci per tutelare chi è davvero disabile (e riconoscere chi si fa passare per tale) e si preoccupa piuttosto di «alzare l’asticella», per limitare il numero degli assegni di assistenza. Temo che mettere ostacoli significhi paradossalmente far inciampare e cadere soprattutto gli invalidi veri (che non s’inventano percentuali ad hoc...) e finisca per incentivare gli invalidi falsi (che hanno solo il problema di mentire un po’ di più). E sono certo che è solo un modo per tentare di limitare una spesa lasciata fuori controllo, non una scelta secondo giustizia.
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