martedì 21 giugno 2011
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L’Anno di, la Giornata del… Tutte le ricorrenze possono generare, prima o poi, frustrazione (per gli obiettivi non raggiunti) e tedio (per la ripetizione del messaggio). Non è questo il caso della Giornata mondiale del rifugiato che, anzi, è arrivata quest’anno proprio nel momento e nel luogo in cui è massima l’attenzione verso il problema. Guerre, violenze e disastri naturali hanno generato, nel 2010, quasi 44 milioni di fuggitivi. Di questi, ha specificato l’Alto commissariato Onu per i profughi, 15,4 milioni sono rifugiati, 27,5 milioni sono sfollati interni al Paese d’origine e 850mila sono richiedenti asilo. Un anno tragico che andrà ad appesantire un bilancio già drammatico: sono più di 7 milioni, oggi, i rifugiati che vivono in un Paese diverso dal loro da più di 5 anni.Se questo è il momento, l’Italia è il luogo. Siamo la porta dell’Europa rispetto ad alcune delle rotte più battute dai migranti. Con la crisi del Maghreb e del Medio Oriente, che è andata ad accavallarsi a quelle dal punto di vista umanitario "storiche" di Eritrea, Somalia e Sudan, siamo anche il cancello continentale ai cui piedi si ammassa un’umanità dolente in cerca di scampo (anche se solo una minoranza lascia il Sud per il Nord del mondo).Non tutti coloro che cercano rifugio pensano o sperano di ottenerlo da noi. Però il primo sbarco avviene qui e sul nostro Paese si deposita una doppia responsabilità: pratica (perché è il Paese del primo sbarco quello che deve poi rispondere alla richiesta d’asilo) e morale, perché quel che facciamo noi riguarda anche un’Europa fin troppo pronta a "distrarsi" nelle fasi dell’emergenza.Ma appunto: di quale emergenza stiamo parlando? Mentre una certa politica favoleggia di blocchi navali, è lo stesso ministro dell’Interno Maroni a dirci (31 maggio) che il flusso dalla Tunisia si è ormai fermato e che dalla Libia sono arrivate circa 18mila persone, «per lo più provenienti dai Paesi subsahariani, eritrei e somali». Tutti richiedenti asilo o protezione internazionale, con buone possibilità di ottenere l’uno o l’altra. L’Europa unita ha 500 milioni di abitanti, l’Italia 60: quei 18 mila sono, sarebbero un peso eccessivo? In Europa, l’Italia è al nono posto per le richieste d’asilo, che sono state poco più di 10mila nel 2010 contro le 17mila del 2009, un calo del 42,9%. E nei 44 Paesi più industrializzati dedl mondo, le domande d’asilo nel 2010 sono calate del 42% rispetto al 2001.Mentre riflettiamo sui numeri, la tv ci mostra le scene consuete. I campi profughi in Tunisia (Paese che ha accolto finora 290mila libici e circa 200mila persone fuggite dalla Libia ma di diversa nazionalità) o in Egitto, la fuga dei siriani verso la Turchia o il Libano, e così via. Tra i cinque principali Paesi d’accoglienza, solo uno, la Germania, appartiene al Gotha delle nazioni industrializzate, e si trova al quarto posto, preceduta da Pakistan (per gli afghani), Siria (per gli iracheni) e Iran e seguita dalla Giordania. Poi vengono Tanzania, Ciad e Kenya. Tra l’80 ed il 90% dei profughi e dei rifugiati, insomma, si trova nei Paesi poveri o del Terzo Mondo.Tutti dicono e scrivono che le migrazioni (quelle causate dalla violenza come quelle generate dal bisogno economico) sono un fenomeno planetario. Davvero crediamo di affrontarlo scaricandone l’impatto sulle nazioni più deboli? E davvero pensiamo che questa tattica non ci presenterà mai il conto? La Giornata del rifugiato, quindi, è anche una giornata profondamente nostra. Quella in cui celebriamo, o rimpiangiamo, la capacità di guardare avanti e di pensare il futuro prima che lui pensi noi.
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