giovedì 10 dicembre 2009
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Caro Direttore,ci risiamo. Sulla stampa, giorni fa, ha fatto capolino l’ennesimo «scoop» riguardo a un’altra nuova «malattia» che a breve dovrebbe essere inserita tra le oltre 300 già annoverate da anni nel manuale della psichiatria: trattasi di «dipendenza da Internet». Questo disturbo ha di fatto grandi probabilità di rientrare tra le patologie mentali nella prossima edizione del suddetto manuale, prevista per il 2012. Ma, come capita purtroppo spesso in questi casi, non appena si ipotizza l’esistenza di una presunta nuova malattia, qualcuno furbescamente se ne approfitta e si cominciano ad escogitare e a praticare le più disparate e fantasiose «terapie». È il caso di un istituto cinese che ha pensato bene di somministrare ai propri pazienti affetti da tale «disturbo» una dose quotidiana di 20 minuti di «onde nanometriche» che vengono dispensate da apparecchi simili ai moderni caschi da parrucchiere! Questo "trattamento" dovrebbe simulare l’esposizione alle onde emesse dagli schermi dei pc, in modo tale da alleviare i sintomi da «crisi di astinenza» dall’uso di internet. Inventare nuove «malattie» per smerciare ipotetiche soluzioni con i trattamenti più disparati spacciandoli per cure, è fin dalle origini il modus operandi di certa psichiatria. Da qualche tempo anche a Roma è attivo un ambulatorio che si propone di «curare» questa «dipendenza patologica» dal web, attuando tra le altre terapie addirittura quella farmacologica! Ancora una volta si pretende di curare un sintomo riducendone le evidenze fisiche, senza però indagare le vere cause che ne stanno alla base.

M. G., Treviglio (Bg)

Il fenomeno Internet, con la sua diffusione a progressione esponenziale, sta davvero rivoluzionando la società contemporanea. Tutto è cambiato, caro lettore: l’informazione, divenuta di base e di massa, il linguaggio, alcune cruciali modalità dei rapporti interpersonali. Non deve quindi stupire che la «rete globale» – così pervasiva della nostra vita, nel tempo del lavoro come in quello privato – abbia anche comportato, insieme a una nuova comunicazione, a una nuova economia, a un nuovo modo di vivere la partecipazione politica, anche l’avvento di «malattie» mai prima catalogate, reali o presunte. Sulla cosiddetta «dipendenza da Internet» – un disturbo identificato da Ivan Goldberg nell’ormai lontano 1995 e conosciuto negli Usa come «Online Addiction» – il dibattito scientifico è ancora aperto. Secondo alcuni esperti, questa sindrome non può essere considerata una specifica patologia psichiatrica; secondo altri invece lo è, e ciò comporterebbe il suo riconoscimento da parte dei servizi sanitari nazionali, mettendo in campo cospicui capitoli di spesa ma anche – come non solo lei ipotizza – ghiotti guadagni da parte dei produttori e fornitori di rimedi. Nei fatti risulta difficile ricondurre a un comune denominatore sintomi diversi, ma tutti connessi a un utilizzo scorretto o massivo dello strumento web: il gioco d’azzardo e il videogame parossistico, lo shopping compulsivo e altro ancora. Una variegata tendenza ossessiva che è difficilmente imputabile alle onde elettromagnetiche, quanto piuttosto all’«investimento» esistenziale che l’utente fa sullo strumento, trasformandolo nel centro della sua giornata, nella patologica valvola di sfogo di problemi, fragilità, frustrazioni che riguardano la sfera della persona e il suo vissuto. È vero: non passa giorno senza che giornali, tv e la rete stessa non «scoprano» qualche nuova «internet-dipendenza». A volte è davvero così, assai spesso si tratta di effimeri «scoop», che niente hanno a che fare con gli sforzi che la scienza psichiatrica seria compie per indagare i lati oscuri dell’anima contemporanea; sforzi che non meritano facili generalizzazioni e ai quali si deve guardare con rispetto. Grazie per la sua vivace sollecitazione.
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