mercoledì 5 febbraio 2014
​Le contraddizioni del subcontinente a pochi mesi dal voto.
di Riccardo Redaelli
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La vicenda dei nostri due marò è l’emblema del cinismo e della portata dello scontro politico in India. Che è stata la prima democrazia d’Asia ed è ora la più popolosa al mondo, come amano ripetere a New Delhi, ma che nello stesso tempo appare piena di contraddizioni e zone d’ombra. Così come più fragile e contradditoria del previsto si sta rivelando la crescita economica che ha portato il Paese fra le prime grandi potenze mondiali.
Una vittoria troppo annunciata?Nella primavera di quest’anno vi saranno le elezioni politiche generali per il rinnovo del Parlamento. Per vincere la battaglia elettorale, le diverse alleanze stanno ricorrendo a ogni arma, come trasformare i nostri soldati in terroristi o sottolinearne la nazionalità per mettere in difficoltà Sonia Gandhi, “l’italiana” a capo dello storico Partito del Congresso, oggi al governo come per buona parte dei sei decenni post indipendenza. Le previsioni, visto anche i risultati molto negativi del Congresso nelle recenti elezioni in vari Stati dell’Unione Indiana, ne danno per probabile la sconfitta. A pesare sfavorevolmente vi sono i troppi scandali e la sfacciata corruzione di molti suoi leader, la negativa congiuntura economica e la debolezza “dell’erede predestinato”, Rahul Gandhi. Questi, figlio di Ravij e Sonia Gandhi e nipote di Indira, rappresenta l’ultima generazione di questa dinastia repubblicana, ma sembra privo dell’acume e dello spessore politico di chi lo ha preceduto.
Predestinato alla vittoria parrebbe il controverso primo ministro dello Stato del Gujarat, Narendra Modi, alla guida del Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito nazionalista indiano, che si presenta con un programma iper-liberista e schiacciato sulle posizioni della destra religiosa induista. In realtà, nonostante l’appoggio massiccio dei media nazionali e internazionali, delle classi più agiate, del sistema industriale e dei movimenti dell’induismo politico, il successo del Bjp potrebbe essere meno scontato di quanto appaia. Prima di tutto a causa del complesso meccanismo elettorale di questo gigantesco Paese (con quasi 800 milioni di elettori), che dà spazio e peso ai partiti regionali e spinge a creare coalizioni elettorali. Come già successo in passato, il voto per il Partito del Congresso è talora sottostimato nei sondaggi, che faticano a interpretare l’umore delle zone rurali e periferiche. Vi sono poi i dubbi sull’ideologia massimalista del candidato Modi, che frenano molti degli elettori, delusi sì dal partito di Gandhi ma spaventati dal tentativo di trasformare l’India da Paese degli indiani a Paese degli induisti, spingendo così le minoranze religiose (e parliamo di centinaia di milioni di persone), a divenire cittadini «figli di un dio minore». Ma a scompaginare i giochi elettorali contribuisce anche il successo dell’Aam Aadmi Party (Aap), il “Partito dell’uomo comune”, una recente formazione che sta raccogliendo sorprendenti successi elettorali, grazie a una campagna per la moralizzazione politica, la lotta alla corruzione dilagante e l’attenzione alle fasce sociali più deboli.
La fragilità del modello di sviluppo indiano.Per cercare di riguadagnare consensi, il Partito del Congresso, lo scorso anno ha fatto approvare un progetto di legge tanto ambizioso quanto controverso, quello sulla sicurezza alimentare (il Food Security Act). L’obiettivo è fornire cibo a prezzi estremamente favorevoli a tutte le famiglie indiane che vivono al di sotto della soglia della malnutrizione, una piaga mai debellata dai governi di New Delhi.L’approvazione della legge ha scatenato furibonde proteste tanto in India quanto all’estero: Moody’s si è spinta a tagliare il rating indiano perché questa legge ne minerebbe la stabilità finanziaria, mentre molti economisti ne temono gli effetti inflattivi e lo sperpero di denaro pubblico. Per il Bjp è solo una mossa elettorale, per i ceti più abbienti (che controllano buona parte dei media nazionali) una sorta di furto ai loro danni. Eppure, con tutti i suoi limiti e difetti, questa legge – sottolinea Michelguglielmo Torri, uno dei più autorevoli studiosi di India contemporanea – rappresenta una «svolta epocale». Per la prima volta si stabilisce il diritto del cittadino indiano al cibo, e si cerca di affrontare un problema di proporzioni enormi.La crescita dell’economia indiana ha in questi ultimi due decenni, nascosto la realtà del sottosviluppo del sub-continente indiano: secondo dati del ministero della Salute indiano, quasi la metà dei bambini indiani è sottopeso o rachitica o atrofica, come conseguenza della sottoalimentazione. Un indiano su due non sembra aver beneficiato di quello sviluppo tanto decantato dell’India shining, l’India splendente, per citare lo slogan di una decina di anni fa del Bjp.
A differenza della Cina – ove la fame è stata vinta da tempo – il sub-continente indiano ha convissuto senza drammi sulle proprie contraddizioni sociali e sull’esasperata stratificazione dei ceti, per effetto della propria cultura e convinzioni religiose. Politiche neoliberiste tese ad allentare le briglie dell’economia e a incentivare gli investimenti stranieri hanno dato l’illusione di una crescita inarrestabile. Ma la realtà è che oltre alle gigantesche sacche di povertà, il sistema infrastrutturale indiano è ancora estremamente arretrato: dalle contraddizioni di un sistema educativo che associa eccellenze universitarie a un sistema di istruzione primario arretrato, a una rete energetica arretrata e insufficiente, a un sistema finanziario estremamente vulnerabile.La rupia, lo scorso anno, ne è stata l’involontaria testimone, con il crollo del suo valore che ha squilibrato i conti economici degli Stati e assottigliato le riserve monetarie. Da qui il rallentamento della crescita, aggravato dalla crisi internazionale, che colpisce non solo la vecchia Europa, ma mostra i limiti di tante nuove potenze emergenti, frettolosamente indicate come le nuove tigri dell’economia internazionale.
Il declino del tasso di crescita del Pil, sceso a circa il 5% (troppo poco per un Paese ancora molto povero e con una popolazione in forte crescita), impone una riflessione sul modello di sviluppo. Ma le ricette che vengono dall’estero e da buona parte del sistema politico sembrano andare nella stessa direzione del passato: l’India deve aprirsi agli investimenti esteri, ridurre la regolamentazione del sistema economico per combattere la corruzione (ma spesso generandone di nuova), puntare su servizi e sulla tecnologia. Che poi vi sia il 50% dei bambini cronicamente sottoalimentato o privo dei servizi di base è un dato fastidioso, tuttavia celabile dietro il nazionalismo più sguaiato, gli slogan tronfi e il massimalismo religioso.
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