In nome di Dio si può e si deve saper vivere e fare la pace
martedì 15 marzo 2022

Il primo capitolo della sua personale Pacem in terris papa Francesco lo ha svolto già il giorno stesso della sua elezione, in quel 13 marzo di nove anni fa. Il secondo capitolo, «a pezzi», sulla guerra, non è mai finito. È in atto. «In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro!», ha detto con voce accorata nell’Angelus di domenica davanti all’evolversi della guerra in Ucraina, proprio nel giorno di quella ricorrenza. Perché «edificare la pace e costruire ponti» sono state e sono per il Successore di Pietro prerogative del magistero pontificio, da subito delineate fin dal suo primo discorso rivolto ai rappresentanti del Corpo diplomatico presso la Santa Sede, il 22 marzo 2013.

Da allora l’intenso e articolato magistero sulla pace scandito in nove Giornate mondiali ha messo ormai in cantiere quasi un’enciclica. Perché? Perché la pace è dono, bene assoluto, valore definitivo, necessità inesorabile, questione di vita o di morte. Perché è Catechismo della Chiesa che «Cristo è il Principe della pace » e «Dio è solo Dio della pace, non è Dio della guerra, e chi appoggia la violenza ne profana il nome », come ha detto chiaramente Francesco all’Angelus, in continuità con i suoi predecessori. «Perché la pace è un dovere. Perché la pace è il dovere della storia, in- derogabile. Perché la pace bisogna volerla. Perché la pace bisogna amarla. Perché la pace bisogna produrla »: san Paolo VI l’aveva messa a tema così anche per la Chiesa nella prima Giornata mondiale per la pace del 1968, traendola dal capitolo V della Costituzione pastorale Gaudium et spes, dove sotto il titolo «La natura della pace» si dice, tra l’altro: «La pace terrena, che nasce dall’amore del prossimo, è immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre».

Da qui si è mosso e si muove il cammino della Chiesa a servizio della pace, accogliendo in sé l’ansia di ogni uomo, guidandola verso dimensioni che danno all’uomo stesso speranza di superare anche l’impasse attuale della pace. Impasse che viviamo in maniera drammatica, perché è davvero sconcertante vedere che dopo tante sacre affermazioni, tanti discorsi, tanti raduni, tanti congressi, quando scoppia una guerra gli animi si dispongono come se le cose non potessero essere che così. È sconcertante accorgersi che non avviene negli animi – anche di cristiani – quella ribellione che ci si sarebbe potuta attendere dalle premesse che erano state poste, e che anzi della guerra alcuni possano avere persino fascinazione, adagiandosi in questa perversa, progressiva immersione nella morte che l’umanità è capace di infliggere a se stessa.

«Com’è triste quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi guerra! È molto triste», aveva detto Francesco all’Angelus del 20 febbraio riferendosi alla situazione di crisi in Ucraina. In questi anni Francesco ha percorso in lungo e in largo le vie del dialogo e dei ponti, anche tra le fedi, per perseguire il bene comune, la fratellanza e la pace, affermando l’incompatibilità tra fede e violenza, tra credere e odiare.

Ha condannato in ogni occasione l’ipocrisia di quanti parlano di pace e vendono armi, e i tentativi di giustificare ogni forma di discriminazione, ogni forma di odio in nome della religione, in nome di Dio. «In nome di Dio», che è Amore: il Papa l’ha posto a incipit della preghiera di domenica, insistendo con forza: «Si ascolti il grido di chi soffre e si ponga fine ai bombardamenti e agli attacchi! Si punti veramente e decisamente sul negoziato, e i corridoi umanitari siano effettivi e sicuri». Non è la prima volta che ha voluto «in nome di Dio» rivolgersi a quanti fomentano guerre.

L’aveva detto il 16 maggio 2021 di fronte ai raid che avevano provocato strage di bambini nella Striscia di Gaza: «In nome di Dio, che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, faccio appello alla calma e, a chi ne ha responsabilità, di far cessare il frastuono delle armi e di percorrere le vie della pace». E in nome di Dio, il Vescovo di Roma e i suoi collaboratori agirebbero « opportune et importune » se dovessero aprirsi spiragli per fermare la guerra fratricida che sta trascinando l’Europa in un mattatoio.

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