giovedì 7 novembre 2019
Contro inquinamento e allarme clima servono più alberi nelle aree urbane dove ormai vive l’80% della popolazione. Il contributo della ricerca scientifica
Una veduta del Parco Nord Milano, polmone verde urbano la cui realizzazione è incominciata negli anni 80

Una veduta del Parco Nord Milano, polmone verde urbano la cui realizzazione è incominciata negli anni 80

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Le notizie sugli effetti drammatici dei cambiamenti climatici si stanno susseguendo e moltiplicando. Le modificazioni del clima, l’innalzamento delle temperature e la ricorrenza di fenomeni meteorologici estremi sono diventati ormai un tema quotidiano di approfondimento, dibattito e, a volte, scontro sulle implicazioni concrete che tali eventi possano avere sulla vita di ognuno di noi. Sono temi che investono sfere molteplici delle nostre comunità: questioni ambientali, dimensioni e scelte economiche, stili di vita e atteggiamenti sociali e, non ultime, profonde scelte etiche, ideali e religiose, a partire dalla 'sfida urgente di proteggere la nostra casa comune', come indicato da Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’.

Per far fronte alla sfida dei cambiamenti climatici vi sono azioni che devono essere intraprese dalle politiche e dalla governance dei Paesi. Fra queste si inserisce il Decreto Clima approvato dal Consiglio dei Ministri dello scorso 10 ottobre 2019, un decreto-legge che introduce misure urgenti e, in alcuni casi sperimentali, in osservanza ad obblighi e impegni che l’Italia ha preso rispetto alla normativa europea per la qualità dell’aria. Focalizziamo l’attenzione in particolare sull’articolo 4 di tale decreto che chiede azioni per la riforestazione prevedendo un finanziamento complessivo di 30 milioni di euro per 2020 e 2021. È istituito un «programma sperimentale per l’impianto di alberi, il reimpianto e di selvicoltura nelle città metropolitane » che consentirà di realizzare almeno 3.000 ettari di nuove foreste urbane: sembra quasi ispirato a determinare una modalità concreta per rispondere all’appello lanciato dalle Comunità 'Laudato si’' a scala nazionale di «Piantare 60 milioni di alberi per contrastare il cambiamento climatico».

A nostro avviso, seppure con alcuni limiti, il decreto clima rappresenta una novità di notevole interesse nell’iter legislativo italiano in materia ambientale. Per quanto non particolarmente elevate, le misure finanziare di sostegno possono iniziare a costruire le fondamenta per nuovi scenari di valore e qualità per le attività di progettazione, realizzazione e gestione sia di nuovi tratti forestali sia del patrimonio verde già esistente. Il decreto merita attenzione perché non solo costituisce un passo concreto, seppure ancora piccolo e migliorabile, per una strategia del clima e della qualità dell’aria, ma anche perché rappresenta il primo intervento a scala nazionale di supporto effettivo e diretto per la realizzazione di opere a verde.

Riguardo al primo punto ricordiamo come in Italia esista un ormai trentennale sistema di ricerca su alberi e boschi in città e, più in generale, sull'ecologia e selvicoltura urbana nonché sulla progettazione e gestione del verde e dei paesaggi ur- bani. In questo caso la Scienza ha dialogato in modo convincente e proattivo con il mondo tecnico, con i decisori, con la società civile: abbiamo fatto ricerca sviluppando alta tecnologia per comprendere il funzionamento ecologico dei nostri ecosistemi urbani, per chiarire ed approfondire le conoscenze sulle potenzialità di riduzione dell’inquinamento e di assorbimento della CO2 da parte della Foresta Urbana. Non abbiamo però ignorato l’importanza di lavorare mano nella mano, più che fianco a fianco, con insegnanti e alunni delle scuole di ogni ordine e grado, con i singoli cittadini e con le associazioni e le organizzazioni non governative per sviluppare ricerche/ azioni volte a migliorare la partecipazione e i diritti alla governance delle nostre comunità. La ricerca e la tecnica italiana nel settore delle Foreste, e delle foreste urbane in particolare, ha ormai una valenza internazionale riconosciuta in tutti i Paesi del mondo e dalle agenzie delle Nazioni Unite. Questo stato della ricerca e l’interesse che la collettività ha fatto sì che ci sia stato un certo interesse del legislatore nazionale, che con la Legge 10/2013 all’articolo 3 ha previsto la costituzione del 'Comitato per lo Sviluppo del Verde Pubblico' presso il Ministero per l’Ambiente, e che tra i molti documenti ha prodotto le 'Linee guida per la gestione del verde urbano e prime indicazioni per una pianificazione sostenibile' e la 'Strategia per il verde urbano'.


Il 'Decreto Clima' chiede azioni per la riforestazione prevedendo un finanziamento complessivo di 30 milioni di euro per 2020 e 2021: consentirà di realizzare almeno 3.000 ettari di nuove foreste urbane

Europa e Italia sono in controtendenza rispetto ai dati globali di deforestazione. Ogni anno le foreste in Europa crescono di una superficie di 9.500 km quadrati, pari a 1 milione e duecentomila campi di calcio (o 424.000 Basiliche di San Pietro)! L’Italia, fra i vari Paesi, è sicuramente uno di quelli che ha visto maggiormente crescere la propria superficie forestale, sia attraverso campagne di rimboschimento, fondamentali in un Paese che agli inizi del secolo scorso era letteralmente denudato, sia in virtù di processi spontanei di ritorno della foresta in campi e pascoli non più coltivati o utilizzati. Lo spopolamento delle montagne e l’abbandono delle campagne sono un fenomeno iniziato ormai 50 anni fa ed oltre: sì, la foresta è tornata, ma spesso il presidio del territorio, tanto utile per la protezione da disastri ambientali quali frane e alluvioni, è venuto a mancare. Dopo secoli, le foreste hanno superato, come tipo di copertura vegetale, i campi e i pascoli: ormai il 36% della superficie del nostro Paese è costituito da foreste.

Perché allora piantare alberi? Perché pensare alla riforestazione e alla gestione forestale sostenibile? Se le foreste tornano in montagna e negli ambienti rurali, il consumo di suolo continua. Inesorabile. Due 'Italie': una che vede le foreste crescere laddove ormai vivono popolazioni che potremmo definire relitte, un’altra, quella delle aree periurbane e delle grandi conurbazioni areali o lineari dove si concentra ormai l’80% della popolazione del Paese, che 'consuma' suolo trasformandolo in superfici impermeabili ed inerti al ritmo di due metri quadrati al secondo. Ma proprio questa seconda Italia ha un bisogno sempre più urgente di avere più natura, più foreste, alle porte di casa. Per motivi di salute e benessere, di lotta all’inquinamento, di necessità di ambienti in cui fare sport, passare il tempo libero e socializzare. Ha bisogno di fasce verdi dove spostarsi a ritmi meno frenetici, di alberi e arbusti per assorbire i rumori e per mitigare condizioni climatiche sempre più estreme. Per contrastare, infine, tutti gli effetti negativi che i cambiamenti climatici stanno generando e che diventano drammatici proprio nelle città e nelle loro periferie.

Dunque piantiamo alberi e arbusti in tutti i cosiddetti 'vuoti urbani', ossia in quegli spazi di risulta che sono diventati terra di nessuno nella migliore delle ipotesi o, addirittura, ricettacolo di disperazione, emarginazione e criminalità. Possiamo scegliere alberi, arbusti e specie erbacee che riescano a vivere in luoghi molto difficili e che, in tempi brevi, diventino una sorta di agopuntura verde, irradiando gradualmente benessere ambientale nelle zone adiacenti. Possiamo piantare e gestire la vegetazione spontanea che già si è insediata in molte di queste aree. Così si può contrastare il consumo di suolo, diminuendo l’impermeabilizzazione e, quindi, il rischio di esondazioni.


I boschi coprono il 36% della superficie del Paese. Nelle metropoli non servono interventi d’immagine, ma progetti sostenibili

Un altro esempio? Piantiamo e gestiamo grandi formazioni lineari che connettano le nostre città così da realizzare una grande rete di alberi e di verde: costruiamo insieme dei corridoi ecologici che siano una rete fondamentale di sostegno per la biodiversità ma anche luoghi di attività nel verde, percorsi di trasporto ecologico alternativo e contemporaneamente serbatoi di carbonio. Al contrario, alcuni interventi possono determinare maggiori costi ambientali, quando ad esempio il verde in determinate realizzazioni urbane di grande impatto visivo richiede eccessivi e costanti interventi di manutenzione. Il mondo della ricerca in questo settore deve sicuramente crescere ancora molto. Una lezione però l’abbiamo imparata, grazie anche ad un nuovo modo di fare ricerca nelle società scientifiche ed in particolare della Società di Selvicoltura ed Ecologia Forestale di cui siamo parte. Lavorare insieme, confrontarsi con passione e franchezza è forse il miglior contributo che possiamo dare alle domande che le generazioni attuali e future ci pongono. È il modo più concreto per rendere più verdi e più vivibili le nostre città e creare le condizioni per diminuire gli effetti dei cambiamenti climatici.

Università di Firenze, Università di Bari


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