domenica 17 giugno 2012
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Anche il Presidente Giorgio Napolitano ha richiamato il Paese all’obiettivo della piena occupazione. Un richiamo particolarmente opportuno e urgente, perché ci aiuta a riflettere, e poi, speriamo, ad agire di conseguenza, attorno a un nucleo fondamentale non solo della fase che stiamo vivendo ma dell’intero sistema economico e sociale. Chi ci ha insegnato l’importanza cruciale di puntare sulla piena occupazione per uscire dalle crisi sistemiche, è stato negli anni trenta del secolo scorso il grande economista inglese John Maynard Keynes. Quella crisi (del 1929) fu preceduta, accompagnata e seguita da grandi dibattiti tra i maggiori politici ed economisti del tempo, il cui comun denominatore era rappresentato dalla centralità che veniva da loro assegnata alla dimensione monetaria e finanziaria. Si voleva evitare, gestire e poi superare la crisi operando su variabili finanziarie; in particolare molto forte era la querelle sull’opportunità di mantenere o abolire l’oro come riferimento e ancoraggio delle monete nazionali (il cosiddetto "gold standard"). Si vedeva, dai fatti, che la crisi investiva monete, banche e finanza, e la si voleva risolvere agendo su quello stesso registro. Ma mentre i ministri dell’economia e gli esperti discutevano di come fissare le parità delle monete all’oro, se ristabilire o no le condizioni pre-belliche, l’economia reale affondava e l’Occidente sprofondava in una crisi che risultò devastante soprattutto per le imprese e per il lavoro. Questo perché gli economisti degli anni trenta pensavano che la crisi che si stava manifestando sul piano monetario e finanziario (grande e molto più grave di oggi era la crisi delle banche e del sistema finanziario) dovesse essere risolta agendo sullo stesso piano monetario e finanziario. Keynes, esperto di moneta ma anche di filosofia, fu letteralmente geniale quando mostrò a colleghi e a governi che la soluzione stava invece altrove.L’economista e filosofo inglese applicò all’economia del suo tempo una regola di natura molto più generale: la soluzione di un problema che si manifesta in un determinato ambito non la si trova in genere restando all’interno di quello stesso ambito, ma cercandola al di fuori di esso, mettendosi prima, e agendo poi, su di un piano diverso, normalmente (ma non sempre) di ordine superiore.Keynes, infatti, dimostrò teoricamente e argomentò pubblicamente che quando si è nel mezzo di una crisi di sistema, la vera crisi è nelle aspettative negative della gente, e quindi nella fiducia, nel non dare più credito e nel non credere più nel sistema e nelle sue istituzioni (banche e politica). Perché quando mancano la fiducia e la confidenza (confidence) gli interventi di natura monetaria e finanziaria sono generalmente inefficaci: «Puoi portare il cavallo alla fontana», diceva Keynes, «ma non puoi costringerlo a bere». La politica finanziaria porta solo "il cavallo alla fontana", ma può far poco o nulla per farlo "bere". Keynes nel 1936 dimostrò allora che il piano di livello superiore era l’intervento governativo, il lancio cioè di una grande stagione di spesa pubblica, che sola avrebbe fatto uscire il sistema economico dalla trappola di sfiducia e di pessimismo nella quale era caduto. Lanciare, dall’esterno, un processo di interventi verso la piena occupazione era allora la sola vera soluzione a quella crisi finanziaria.Oggi stiamo commettendo gli stessi errori dei colleghi di Keynes: di fronte ad una crisi di sistema, diversa ma con molti tratti analoghi a quella del 1929, governi ed economisti discutono di euro, di politiche fiscali e monetarie, di "parità" e pesi dei singoli Paesi all’interno dell’euro, dimenticandosi, oggi come ieri, che senza rilanciare l’occupazione e con essa la fiducia il sistema non ripartirà. Ecco perché, tra parentesi, continuo ad essere convinto che sia stato sbagliato toccare ora l’articolo 18 (andava fatto dopo), perché è stato un segnale che ha ridotto la fiducia e l’ottimismo delle famiglie.Occorre oggi una nuova politica europea che inizi seriamente a regolare la finanza e non continui a ricapitalizzare le banche, e che inizi a distinguere tra la spesa pubblica dovuta unicamente agli sprechi e la spesa pubblica, nazionale ed europea, che oggi potrebbe servire a rilanciare l’occupazione. Una nuova politica che non pensi più che la soluzione a questa crisi dipenda dagli spread, dai mercati finanziari e dalle banche. Il problema enorme che oggi un nuovo Keynes deve affrontare è come far ripartire da fuori l’economia con Stati così indebitati e una finanza così potente e anarchica. Ciò che è certo è che la spesa pubblica non può essere l’unico attore, poiché rispetto al 1929 il mondo è molto più decentrato e differenziato. Occorre un’azione concertata dove la nuova occupazione rinasca dal civile, dalle famiglie, dalla gente, che possono e debbono fare di più, proporzionalmente alle loro possibilità e patrimoni. Ma, oggi come ieri, usciremo da questa crisi finanziaria e dei mercati guardando più in alto di finanza e mercati: uno sguardo diverso che, ieri come oggi, solo la politica alta può darci, in Italia e in Europa.
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