sabato 12 gennaio 2013
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Per esperienza comune di ogni essere umano, la nascita di un bambino scaturisce dall’unione tra un uomo e una donna, comporta la cura e l’allevamento da parte dei genitori. Nei genitori, e attraverso i genitori, chi viene alla luce realizza il primo contatto con la realtà e fruisce della essenziale diversità e complementarietà tra il padre e la madre i quali lo fanno crescere e lo introducono nel più vasto orizzonte degli affetti, dei sentimenti, delle relazioni personali, dandogli sicurezza, solidità, capacità di esprimere sé stesso, realizzarsi pienamente.
Questa primordiale relazione tra genitori e figli è tutelata dalla Convenzione sui diritti umani e dalla nostra Carta Costituzionale. Per l’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 il «fanciullo ha diritto a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi», mentre la Costituzione italiana oltre alla celebre formula dell’articolo 29 per la quale «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» aggiunge che «è dovere e diritto dei genitori mantenere ed educare i figli».
Per la prima volta in Italia, una sentenza della Sezione civile della Cassazione afferma che questi principi che ciascuno di noi vive e sperimenta nella famiglia d’origine, e nelle relazioni con i propri figli sono frutto di un «mero pregiudizio», e che non è affatto necessario per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia composta da madre e padre, essendo tale considerazione non fondata su «certezze scientifiche o dati di esperienza».
Al di là del caso specifico affrontato dalla sentenza, e dai suoi risvolti giuridici, questa è l’affermazione di principio che ha permesso poi di affidare un bambino alla madre che aveva avviato una relazione omosessuale con altra donna. Tralasciamo per il momento il fatto, già gravissimo, che la sentenza della Cassazione mette da parte formulazioni legislative del più alto livello, internazionale e costituzionale, che parlano del diritto del bambino ad essere curato e allevato dai genitori. Soffermiamoci invece sul punto più sconvolgente della pronuncia, quando considera il bambino come soggetto manipolabile, attraverso sperimentazioni che sono fuori della realtà naturale, biologica e psichica, umana, e che non si sa bene quanto dovrebbero durare.
La pronuncia lascia stupefatti quando cancella tutto ciò che l’esperienza umana, e con essa le scienze psicologiche, ha elaborato e accumulato in materia di formazione del bambino. Il quale, privato artificiosamente della doppia genitorialità, vede venir meno la dimensione umana e affettiva necessaria per la crescita e il suo armonico sviluppo, ed è lasciato in balia di esperienze, rapporti, relazioni umane, sostitutive e del tutto slegate rispetto alla naturalità del rapporto con il padre e la madre. Siamo di fronte ad una concezione che attinge il suo humus culturale alle forme illuministiche più primitive, nega ogni preziosità dell’esperienza umana, e ritiene che anche per la dimensione della paternità e maternità il genere umano possa ricominciare daccapo, perché l’educazione e la formazione del bambino può avvenire contro i parametri naturali e le garanzie che la famiglia presenta in ogni epoca e in tutti i Paesi del mondo.
Si intravede in questo modo un profilo disumanizzante della tendenza a spezzare il legame del bambino rispetto ai genitori naturali, che comporta il declassamento dei suoi diritti proprio in quella fase più delicata dell’esistenza che condiziona per sempre la crescita successiva. Il bambino non è oggetto da utilizzare o manipolare con sperimentazioni estranee alla sua propria dimensione familiare, ma è persona con diritti originari che devono essere tutelati e garantiti dalla società e dalle leggi che lo governano.
Dobbiamo essere sinceri, e riconoscere che siamo di fronte al pericolo reale che si rechi un grave vulnus a quanto di più prezioso l’umanesimo religioso e di ogni tendenza laica ha realizzato sino ad oggi, che riguarda la cura e la tutela delle nuove generazioni per un futuro sempre più umanizzato della società. 
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