mercoledì 24 dicembre 2008
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Nelle strade di Milano circola da qualche gior­no una vecchia vettura tramviaria, intera­mente ricoperta da una fitta granella di lucine bril­lanti. È come un dolce di pietre preziose, un mo­nile gigante che si muove da solo. Un passaggio in­cantato, che fa spalancare gli occhi e suscita pic­cole onde di eccitazione fra i passanti. Mi ha colpito la reazione di molti giovani, abitua­ti a tutto e assuefatti a tutto, che ne apprezzavano il passaggio, commentandolo come fosse il segno del possibile avvento di una città diversa: più tra­sparente, delicata, tenera da vivere. Quasi come se la vecchissima carrozza traballante fosse 'l’arca laica' di una nuova desiderabile alleanza per la città moderna, ormai ridotta a ostello; lo scrigno di un 'genius loci' che annuncia una città possi­bile, piena di umori vitali e di affetti intelligenti, nella quale sarebbe più bello vivere e condividere. Come fosse un tabernacolo di invisibili spiriti gui­da, un angelo con le ruote, che fa lo stesso effetto anche senza le ali. Un effetto strano, che lascia affiorare uno struggi­mento lieve di spiriti leggiadri e generosi, dei qua­li la città post-moderna non palpita più. Il tram è vuoto, a parte il conducente. O forse no. L’oggetto ha la sua componente commerciale e promozio­nale, inevitabilmente, bigiotteria ed effetti specia­li compresi. Mi sono chiesto però come mai sia capace di un effetto così diverso. La sofisticata invadenza del­l’arcobaleno di colori delle immagini commercia-­li, che ormai avvolge per intero anche le vetture, non genera niente di simile. In verità, c’è una profonda differenza fra l’istupidimento dell’artifi­cio e l’incantamento di una vitalità interiore, feli­cemente condivisa in mille piccoli gesti dell’abita­re, del sostare, dell’incrociarsi e dell’intrattenersi nella città degli uomini. È curioso che un vecchio tram, semplicemente rivestito di luce, faccia una così grande differenza. Forse, fa effetto perché il­lumina il nostro vuoto più struggente. La perdita dell’anima, nella città moderna, si riflette nel vuo­to di autentici incantamenti della vita. Non para­disi artificiali, oasi del benessere, e ciniche ingiun­zioni al godimento che consuma tutto, sempre, co­munque. Al contrario, grandezze e finezze dell’a­nimo che si scoprono nel generare e nell’abitare, nel ricordare e nel condividere, nell’incrociarsi e nel sostare: infine, nella prossimità dell’umano che è più comune. La perdita di un habitat felicemente condiviso, se vogliamo dirla tutta, è l’effetto di una ossessiva ri­mozione dell’incarnazione di Dio. È questo il 'bu­co nero' della città moderna. Menti e macchine, siamo diventati. E corpi ridotti a fare il gioco di u­na regìa estranea all’umano. Lo spirito, invece, ha bisogno di carne e sangue per vivere. Fra le giovani generazioni, alle quali abbiamo coc­ciutamente insegnato un’altra strada, si muovono però, sottopelle, strane vibrazioni dello spirito. U­na ventina di secoli fa, una ragazza meravigliosa, in un angolo apparentemente buio della storia, ha decifrato il formicolìo dell’incarnazione di Dio. La generazione di un figlio è entrata in presa diretta con la generazione del Figlio. Se n’è riscaldato il mondo, a partire da quello scampolo della perife­ria degli imperi. Una 'magia' improbabile ha por­tato doni fin lì, a nome dei popoli del mondo. E di angeli non ce ne sono mai stati così tanti, in un faz­zoletto di terra così fuori mano. Non prendiamocela con le luminarie e i doni, non è quello il punto. Qui non è rimasto veramente 'nient’altro' che rompa la stupidità dei grigi. Fac­ciamoci venire piuttosto un soprassalto di strug­gimento per le nostre cucciolate senza più miste­ro dell’Incarnazione. E alla messa di Natale, con il nostro bel groppo dentro, come Dio comanda, chiediamo la grazia di saper raccontare che un al­tro mondo, un’altra città, un’altra storia, esistono. Quella che i cuccioli imparano è ottusa e anaffet­tiva. I segni dello struggimento non mancano, però, se li vogliamo vedere. Persino un tram.
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