sabato 5 novembre 2011
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Caro direttore,
sono ore difficili per il futuro dell’Europa e dell’Italia. Proprio per questo credo sia giusto interloquire con Avvenire che, in un editoriale di Sergio Soave del 2 novembre scorso, s’interroga sulla effettiva capacità del Pd di essere «fulcro» di un’alternativa politica. Le reazioni di alcuni dirigenti all’iniziativa di Matteo Renzi offrirebbero l’immagine di un partito in cui sarebbe difficile la sintesi tra diverse ispirazioni culturali e il pluralismo mal sopportato. Non è così. Personalmente non ho mai demonizzato le idee del sindaco di Firenze. Semmai aspettavo di vederne, oltre battute e slogan efficaci, la concreta traduzione in un progetto politico. Da questo punto di vista, le 100 proposte uscite dalla Leopolda non hanno ripagato l’attesa. Moltissime, più della metà, sono già state elaborate dal Pd (diminuzione dei parlamentari, nuova legge elettorale, riduzione dei costi della politica, liberalizzazioni, patrimoniale, green economy, per citarne alcune). Sono punti programmatici approvati dall’Assemblea nazionale (organismo eletto alle primarie con il voto di milioni di cittadini) e in molti casi già tradotti in proposte di legge. C’è da chiedersi come mai Renzi non abbia voluto partecipare a questa fatica e le presenti oggi in polemica con il suo partito, facendo una caricatura del nostro lavoro. Per la verità, il Pd ha definito un’agenda per l’Italia con un metodo molto serio, condiviso con migliaia di dirigenti. Un programma che si misura con le priorità del Paese, crescita e nuova occupazione, e come tale è anche una risposta alla lettera della Bce. Il menù presentato a Firenze, invece, non si preoccupa di verificare le compatibilità finanziarie di tante facili suggestioni, mentre alcuni piatti – penso al welfare – non sono coerenti con un progetto riformista. Sono ispirati alle ricette della destra, con un approccio neoliberista che rischia di moltiplicare i danni provocati dal governo. E molte sono le lacune, a cominciare dal Mezzogiorno e dalle politiche per la crescita. Si dirà: è il bello di una vera fucina d’idee. Siamo sicuri che si tratti di scelte e di un modo di fare politica all’altezza della crisi che investe in modo radicale la nostra società e il nostro modello di sviluppo? Francamente non mi pare. Tanto più se il Consigliere del Principe è il manager che negli anni Ottanta e Novanta ha confezionato una assai discutibile domanda culturale, e oggi è chiamato a confezionare l’offerta politica. Sono convinta che per superare questa fase serva un paradigma culturale nuovo. Serve superare le contraddizioni del nostro tempo e non certo assecondarle con un modello di politica affidato alla spregiudicatezza tattica e rinchiuso nel presente della comunicazione. In questi mesi la Chiesa italiana ha chiesto di «purificare l’aria». Ha richiamato la politica alla sobrietà dei comportamenti, al rigore morale, all’equità sociale. Ha denunciato la corruzione, l’abuso della funzione pubblica, il degrado delle istituzioni. È un monito a superare modelli consumati e fallimentari. Noi democratici vogliamo essere protagonisti di questa sfida, che equivale al progetto di un partito plurale. Il successo mediatico di Renzi dipende forse dalla timidezza con cui il Pd realizza la necessaria discontinuità con il passato?  Il Pd è ancora in costruzione e talvolta è percepito in continuità con la tradizione della sinistra italiana. Non è così sul piano delle idee, dove stiamo sperimentando in modo anche fecondo la sintesi tra diverse ispirazioni culturali. Non può esserlo neanche su quello della forma partito, tema che Renzi elude e che invece a me sembra decisivo. La nostra novità, ne sono consapevole, si misura anche su questo crinale. E io sono impegnata a consolidare il profilo di un Pd plurale e pluralista, pronto a confrontarsi anche con le proposte della Leopolda.
 
Rosy Bindi presidente dell’Assemblea nazionale del Pd
La ringrazio, cara presidente Bindi, per aver voluto interloquire con noi e registro con interesse l’articolata e incalzante replica al «big bang» di Matteo Renzi che ha ritenuto di sviluppare (segnalo solo, a beneficio dei lettori che stentino a capire, che il «Consigliere del Principe» di cui lei parla è quel Giorgio Gori che ha a lungo retto il timone della tv berlusconiana). E vengo al punto che più mi interessa. Gli interrogativi che Sergio Soave ha evidenziato, gentile presidente, sono la conseguenza dello sguardo attento che noi di Avvenire cerchiamo di esercitare sulle grandi forze politiche e sulle questioni che via via esse pongono – e si pongono – nell’azione politica (e di governo) attuale (o passata) e sui problemi e sulle dinamiche che evidenziano al loro interno. Interrogativi tanto più incalzanti in questa fase, visto e considerato che la crisi della cosiddetta Seconda Repubblica è l’altro nome della crisi (che ha generato abbandoni e "scissioni" di eletti e di elettori) delle due formazioni che avrebbero dovuto esserne infine il perno e il culmine bipartitico: il Pdl e il Pd. I tempi duri sono anche tempi promettenti, dico spesso. E la constatazione critica che ho appena fatto è, dunque, anche e soprattutto un auspicio di chiarezza e l’espressione di una curiosa attesa per le traversate o, se si preferisce, per il lavoro di sintesi che lei e altri, ognuno per la sua parte, promettono (penso ad Angelino Alfano e all’idea di una «costituente popolare», penso al percorso non dissimile che Pier Ferdinando Casini aveva già autonomamente evocato). È vero, questa è una fase estremamente difficile, che impone a tutti – uso parole sue – di «superare modelli consumati e fallimentari» dimostrando sia discontinuità sia idee chiare. Si potrebbe forse anche dire (non c’è copyright sull’immagine...) che è una fase da big bang. E io penso che bisogna avere punti di appoggio assai solidi per attraversarla costruendo qualcosa di buono. Proprio per tale motivo i cattolici più impegnati ragionano con rinnovata ed esigente intensità sul contributo in termini di valori e di presenza che possono e debbono dare anche alla nostra politica. Certo non da soli, ovviamente assieme a compagni di strada altrettanto consapevoli della realtà vera dell’Italia – dei suoi veri problemi, dei suoi autentici punti di forza – e capaci di condividere visioni antropologiche fondanti e metodi inclusivi.
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