Lungo la frontiera dei pellegrini i veri monumenti sono le persone
Didier, 71 anni: «Questo cammino grazie al Giubileo, porto nello zaino le pene di un’amica». E Jacopo, da Lucca, va verso Canterbury, come Sigerico dopo aver ricevuto i pallio arcivescovile dal Pa

Qualunque sia la tappa, i monumenti della Francigena che alla fine ti porti dentro non sono quelli di mattoni, ceramiche e vetro. Ma i ben più imprevedibili “monumenti” in carne e ossa incontrati lungo il cammino. A ridosso del confine fra Francia e Svizzera, ci piace evocarne qualcuno. Perché le frontiere sono i tratti degli itinerari di pellegrinaggio con più varianti storiche. Di colpo, a un bivio, occorre scegliere fino a che punto seguire questa o quella direzione. Proprio come capita con gli incontri che segnano una vita. Una frontiera, poi, è sempre un momento di verità. Ti interroghi inevitabilmente su come andranno le cose oltre quella soglia. Se la coerenza di un percorso prevale sulle differenze di una parte con l’altra. E senza avere l’impudenza di esternare la domanda, ti chiedi pure perché tanti hanno deciso di stabilirsi in una sorta di sospensione, a cavallo fra un Paese e l’altro. Per opportunismo? Per amore di un quieto vivere di estrema periferia, del tutto lontano dalle capitali? O per qualche altra intima ragione che magari passeranno ancora il resto della vita a sondare? A Jougne, l’ultimo comune francese di montagna fra gli spettacolari speroni chiari del Giura, Jules, un pensionato un po’ sornione, ci dice schietto: «Segua la vecchia scorciatoia dei contrabbandieri. Godrà il panorama al tramonto ed eviterà le code della dogana a valle». In centro, chiacchierando con i commercianti, avevamo captato sentimenti ambivalenti verso le ricche contrade elvetiche: «Ci guardano un po’ dall’alto, perché tanti francesi fanno lì lavori rifiutati dagli svizzeri. Ma nei fine settimana, poi, vengono da noi per il pieno e la spesa», ci aveva ad esempio detto Lucie, nel suo negozio.
Di fronte alla “dritta” di Jules, dunque, esitiamo, sospettando qualche punta di risentimento verso la dogana citata, soglia dei desideri come di vecchie frustrazioni, per chi magari ha passato una vita a varcarla. Ma a valle, il sole scomparirà presto, mentre l’erta dei contrabbandieri promette altre note di luce e colori. Prendendo quota, siamo ripagati, davanti alle ampie vallate dei primi paesaggi svizzeri. Ma la china è di quelle spezzagambe. Così, una volta su, veniamo calamitati da una panchina davanti a una casetta bassa tutta fiorita. È proprio lì, mentre riprendiamo fiato, che una signora in età accelera verso di noi: «Lei è un pellegrino, suppongo. Ne sono passati molti, oggi. Non vuole dell’acqua? Suvvia, entri». Impossibile rifiutare. Dunque, ci ritroviamo in una cucina minuta ancora illuminata dal tramonto, assieme pure al coniuge della benefattrice. La generosità dei due si spinge fino a un invito a cena, che decliniamo, temendo di far tardi fra i boschi da traversare. Accettiamo solo qualche acino d’uva. Ma quando ci presentiamo, la signora ha un moto di stupore e un lampo di gioia: «L’Italia! Ma lo sa che sono della Calabria? Arrivai a 12 anni». Allora, sulla bocca di Annamaria, come la chiameremo per rispetto della privacy, affiorano, simili a perle di un intimo rosario, nomi legati a ricordi lontani: «Il Pollino, Cosenza, San Giovanni in Fiore». Tracce dolci dell’italiano dell’infanzia. Intuiamo forse il senso di quella panca, proprio sotto la finestra di casa. Il sottofondo di tanta sollecitudine instancabile per i pellegrini, diretti verso una patria rimasta in fondo al cuore. Per i 4 nipoti, offriamo delle spille variopinte della Francigena ricevute a Besançon, con l’augurio che possano un giorno mettersi in marcia.
«Guardi, il vecchio posto di frontiera è lì, a un passo. Poi, dritto per i boschi fino a Ballaigues», ci indica, mentre indossiamo lo zaino. Le auguriamo di rivedere la Calabria. «Chissà…», sospira, sorridendo e alzando gli occhi al cielo. Superiamo a cuor leggero l’antica lastra che segna l’ingresso nel cantone di Vaud. Dove ad accoglierci per prima è un’elegante cicogna incollata a una finestra. Con il becco, tiene un fagotto e il nome della bambina appena atterrata sul posto. Comincia così la nostra immersione in un’elveticità che sembrerebbe senza tempo: l’onnipresente scampanellare degli animali al pascolo, abbeveratoi, vasi fioriti, cataste di legna perfettamente tagliata davanti a case e falegnamerie, panorami estetici come quadri, le croci bianche confederali e quelle d’altri colori sugli edifici storici. Se non siamo in una vecchia puntata della serie Heidi, poco ci manca. In pieno centro a Ballaigues, brilla la croce d’oro di un fortilizio seicentesco, trasformato oggi in albergo-ristorante, proprio di fronte alla splendida fontana pubblica comunale. È il borgo di frontiera nel cui ospizio finì e si spense un artista girovago e tormentato, annoverato ormai fra i grandi “marginali” del secolo scorso: Louis Soutter (1871-1942). Fra i suoi disegni, tracciati su materiali di fortuna talora con le dita, pure tanti ritratti di Cristo e Crocifissioni di una tragicità estrema. Tanto da essere visti, da certi critici, come illustrazioni icastiche degli abissi novecenteschi.
L’ometto stilizzato con bastone che simbolizza i pellegrini sulla Francigena ha un’aria mite e pacifica. Ma a dire il vero, non tutti i viandanti che abbiamo incrociato corrispondono a questo profilo. Alcuni sembrano portarsi dentro una fiamma. Come se un motore a scoppio interiore si fosse acceso un giorno “sparandoli” sulla Via. Fra questi irregolari, non dimenticheremo Didier, pugnace 71enne francese della regione parigina. Decisamente un incubo per chi contrassegna itinerari da pellegrini. Perché lui ha seguito il suo cammino basandosi molto sui ricordi d’infanzia, quando il padre lo portava a fare lunghe camminate in ogni nuova contrada visitata. Così, si è messo a zigzagare attorno al tracciato della Francigena come una sorta di velivolo con il timone in avaria. Un pomeriggio, durante una celebrazione in un santuario vicino alla frontiera franco-svizzera, è entrato con la sua andatura caparbia e un po’ a strappi, sedendosi al nostro fianco, con tutti i suoi simboli da pellegrino patentato in bella mostra sullo zaino. A cena, ci ha poi raccontato: «Se mancavo questo Giubileo, non avrei più fatto la Francigena. Ma ne avevo un grande desiderio da anni, dopo aver fatto Compostela. Peso sessanta chili e mi sono dunque fissato un massimo di 6 chili di zavorra. Passo la notte dove capita e dormo come un sasso. All’alba, riparto a molla. Comunque andrà, ho promesso a un’amica della mia parrocchia che avrei portato le sue pene nel mio zaino fino alla Porta Santa del Giubileo. Ha seri problemi dove lavora».
Nei paraggi della frontiera, incrociamo un altro originale, Jacopo da Lucca. Un giovane dall’aria vispa che percorre la Francigena al contrario, un po’ come Sigerico dopo aver ricevuto il pallio arcivescovile a Roma dal Papa. «Ho incontrato finora solo un altro che fa così», ci racconta con una scintilla negli occhi, prima di ripartire spedito verso Canterbury. Non molto dopo, guarda caso, ci imbattiamo in un simpaticissimo sessantenne inglese, Patrick, che ha però passato gran parte della sua vita in Zimbabwe. La sua specificità? Percorrere tutta la Francigena nel senso abituale, sì, ma in bicicletta. Così, presso la parrocchia dove giungiamo, ci rivela perché espone sullo zaino la bandiera del suo Paese africano amato: «Raccontando le mie avventure sui social, raccolgo fondi per gli anziani poveri di lì, che non hanno una pensione. Un vero dramma. Ma lungo il percorso, porto con me pure le pene delle persone care sofferenti per malattie o altro». Dopo la Messa serale, intavoliamo un dibattito sui vantaggi rispettivi del ciclista e del camminatore. A metà strada fra Mary Poppins e James Bond, il supersportivo Patrick ci strabilia estraendo dallo zaino gli ingegnosi accessori ultraleggeri per sormontare d’un soffio Alpi e Appennini, verso Roma. L’indomani mattina, come promesso, ritraiamo la partenza dell’ardimentoso “inglese volante” con l’Africa nel cuore. Grazie a pellegrini come lui, la Francigena diventa worldwide.
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