Il Papa in Romania: la buona semina vista dalla parte della terra dissodata
mercoledì 5 giugno 2019

Caro direttore,
quello che è accaduto con papa Francesco in Romania è stato un avvenimento eccezionale, ha toccato e continua a toccare il cuore di molti. La partecipazione straordinaria del popolo romeno, la profondità delle cose dette, gli incontri realizzati e per finire la grandissima festa liturgica coronata con la beatificazione di sette Vescovi martiri della dittatura comunista. Che regali! Quanta grazia! Ho messo piede in Romania la prima volta il 30 maggio del 1998 per lavorare con una Ong italiana, Avsi, con bambini sieropositivi abbandonati negli orfanotrofi. Sono rimasta in Romania due anni e mezzo, poi sono rientrata in Italia. Nel 2007 ho deciso di tornare qui per lavorare ancora a fianco della popolazione romena in un momento di transizione importantissimo dovuto anche all’ingresso del Paese nell’Unione Europea. Da allora vivo stabilmente a Bucarest. Amo la mia città, amo questo Paese e ho tantissimi amici romeni: cattolici latini, greco cattolici, ortodossi e protestanti e tutti insieme camminiamo: mergem impreuna. Il 31 maggio insieme a tutti i miei colleghi e ad alcuni beneficiari della associazione che dirigo ( Fdp Protagonisti in educatie) sono andata in piazza Enescu alle 9 di mattina per attendere il Santo Padre che avrebbe celebrato la santa Messa alle 18.10. Quando siamo arrivati eravamo i secondi. I soli che ci avevano preceduto erano 5 amici della Comunità Papa Giovanni XXIII: erano in piazza dalle 8 anche loro in attesa... Via via sono arrivati tutti gli altri: oltre 25mila persone, cattoliche, ortodosse, protestanti. Non conosco tutti i 25.000, ovviamente, ma i 26 della mia associazione li conosco bene: 5 cattolici, 20 ortodossi, 1 protestante. Lo schermo gigante posto in piazza ci ha permesso di seguire tutti gli incontri precedenti tra cui quello con il Presidente e la bellissima cerimonia svoltasi nella patriarchia ortodossa con il Patriarca romeno. È stato straordinario poter guardare in diretta questi avvenimenti insieme ad un popolo. Ho visto persone in festa, attente e in attesa. Ho visto persone commosse, persone grate che sono state in piazza per salutare il Santo Padre fino alla fine nonostante la pioggia battente. Famiglie, bambini, anziani. Nella Cattedrale ortodossa sono stati recitati il Padre nostro in latino e il Padre nostro in romeno in due momenti diversi. Particolare questo fatto. Si potrebbe osservare una distanza, o invece riconoscere il rispetto di una diversità perché la diversità è ricchezza ed è giusto così. È la stessa esperienza che ho vissuto 5 anni fa in un’altra occasione. Una famiglia ortodossa mi ha proposto di essere madrina di battesimo del loro primo figlio. Insieme a una mia cara amica ortodossa ho detto di sì. Il Padre ortodosso che ha battezzato il bambino ci ha detto che in alcuni momenti avrei potuto tenere io in braccio il bambino, in altri momenti invece avrebbe potuto tenerlo in braccio solo la madrina ortodossa. E così è stato. Una unità nella diversità: ognuno di noi chiamato ad andare a fondo della sua tradizione gustando e vivendo un momento così grande come il battesimo di un bambino, figlio dello stesso Dio. Quello che ho visto e che ho vissuto, e insieme me le altre 25mila persone, è stato questo: un incontro eccezionale che ha sicuramente segnato dei passi per continuare un cammino comune, iniziato vent’anni fa da san Giovanni Paolo II e che continua ancora oggi. Un cammino magari non sempre facile e infatti, grazie a Dio, non è nelle nostre mani. A noi però spetta una grande responsabilità che è quella più semplice: guardare con semplicità e curiosità quello che accade. Questa è la nostra responsabilità e questo sguardo aperto rende la vita più bella e più gustosa. Questa mattina con i miei colleghi, ancora stupiti per l’esperienza vissuta insieme venerdì, abbiamo espresso il desiderio di non perdere quello che è accaduto. Il Santo Padre ci ha detto delle cose straordinarie che desideriamo approfondire e capire in un lavoro di riflessione che inizieremo presto. È come se avesse parlato proprio a noi per indicarci il nuovo cammino che ci aspetta: mergem impreuna!

Simona Carobene Bucarest

Vedere la semina dalla parte della terra dissodata. È questa, cara amica, l’immagine che – uso un’espressione molto efficace di papa Francesco – «mi è venuta in mente e, poi, mi è entrata nel cuore» mentre leggevo la sua bella lettera. Anche stavolta, durante questa visita alla terra romena dove lei ha scelto di vivere e lavorare, noi di “Avvenire” abbiamo cercato di raccontare e interpretare in profondità parole e gesti del Papa. Lei ci aiuta a coronare in qualche modo questo nostro impegno con voce limpida e con la dimostrazione di che cosa vuol dire per una persona cristiana del Terzo Millennio costruire l’unità «per attrazione e non per proselitismo» (e stavolta uso un’espressione, molto amata da Francesco, che è uno dei tanti preziosi doni che ci ha fatto il suo predecessore, Benedetto XVI). Attrazione reciproca, non solo unidirezionale, e dunque amore vero per ciò che ci accomuna e, al tempo stesso, per le nostre diversità. Un “metodo” ecumenico, fatto di condivisione di vita, di preghiera e di opere, che san Giovanni Paolo II ci ha spinto a praticare “dal basso”. Grazie, cara Simona, per averci aiutato nella direzione indicata dall’editoriale di domenica scorsa di Riccardo Maccioni ( tinyurl.com/y5wzsh32 ) ad aprire lo sguardo, a rovesciare la prospettiva, a coltivare la fiducia e la speranza sapendo su Chi contare per riuscire a «essere una cosa sola».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI