martedì 25 novembre 2008
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«Una grandiosa vittoria»: così Hugo Chavez ha definito l'esito della consultazione elettorale di domenica in Venezuela. Il successo del Partito socialista unito del Venezuela in 17 Stati su 22 sembrerebbe dargli ragione. Peccato che, però, sia stato sconfitto in due delle regioni più popolose ed economicamente significative (Zulya e Miranda) e che l'opposizione abbia fatto breccia pure nella regione della capitale Caracas. Ora, se alla vigilia delle elezioni " come scrive il quotidiano El Nacional " Chavez aveva detto che perdere anche solo tre regioni avrebbe significato una bocciatura per il governo, è evidente che in queste ore, al di là del trionfalismo di facciata, il profeta del "socialismo del XXI secolo" sta masticando amaro. A poco vale il tentativo di ridimensionare lo schiaffo delle tre regioni ribelli dichiarando, come ha fatto Chavez, che "il popolo ha dimostrato che godiamo di un sistema democratico". La verità è che da tempo il presidente si è avviato su una strada che di democratico ha ben poco, perdendo via via in legittimità quel consenso popolare che pure aveva raccolto. Un esempio lampante: quest'estate, utilizzando i poteri straordinari previsti dalla ley habilitante, Chavez ha varato una ventina di leggi con cui ha introdotto d'autorità molte proposte bocciate dal referendum popolare di un anno fa, da lui indetto per riformare la Costituzione in senso socialista. Una riforma che allora i vescovi bocciarono (definendola "moralmente inaccettabile") così come condannano oggi i famigerati decreti-legge "balneari". I vescovo erano tornati a farsi sentire un mese fa con una nota "Per la vita e la democrazia", che oggi può essere letta come una spiegazione dei motivi per cui Chavez ha perso in alcune aree-chiave del Paese. In primo luogo l'episcopato venezuelano denuncia "la crescente insicurezza, la delinquenza debordante e il disprezzo per la vita che si manifesta nella gran quantità di assassini, sequestri e delitti contro persone e cose". Difficile dar loro torto: con un indice di 130 omicidi ogni 100 mila abitanti, un recente studio di Foreign Policy attribuisce alla capitale venezuelana il poco invidiabile primato di metropoli più pericolosa al mondo. Nei dieci anni di governo di Chavez il numero degli omicidi è triplicato e il Venezuela è oggi il secondo Paese più violento del continente. Non che prima di lui il Paese fosse un paradiso: di certo, però, sono andate deluse le attese di chi pensava che un presidente con un passato da militare come lui garantisse più ordine. Non è tutto. Uno studio di Transparency International colloca il Venezuela tra i Paesi più corrotti dell'America Latina: anche questo può aver pesato nella valutazione degli elettori, così come lo spettacolo di nepotismo di un governatore, padre del presidente, al cui posto subentra Adan, fratello di Chavez. Si dirà: il crollo del prezzo del petrolio ha penalizzato i progetti economici di Chavez. Ma il punto è che, nonostante 85 miliardi di dollari di introiti grazie all'oro nero, è stranamente in rosso la bilancia del commercio estero. Perché? Chavez ha gonfiato la spesa pubblica in un'ottica clientelare e ha sperperato aiuti ai "Paesi amici", vendendo petrolio sotto costo a Cuba & c. Morale: il Paese non ha potuto approfittare del tesoro nascosto nel suo sottosuolo e vede orizzonti cupi. C'è da meravigliarsi che i cittadini delle zone più sviluppate abbiano espresso tutta la loro disapprovazione per le strategie "bolivariane" che non condividono affatto?
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