venerdì 27 novembre 2015
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Un gesto che significa speranza. Un segno che simboleggia la vita, che è ipoteca su un domani buono, che è fiducia nell’uomo. A Nairobi, prima tappa del suo viaggio africano, papa Francesco ha richiamato e fatto sua la tradizione keniana di piantare un albero, ideale collante tra le generazioni e insieme staffetta nell’impegno di rendere migliore il mondo che siamo chiamati ad abitare. E custodire. Un’abitudine antica, una consuetudine ancora oggi particolarmente diffusa tra i giovani studenti. Una finestra aperta sul futuro, che nella riflessione del Pontefice è diventata sinonimo dell’urgenza di lavorare insieme per una società più «giusta, solidale e pacifica».Concetti che, nel discorso alla sede locale delle Nazioni Unite, nel cui parco il Papa ieri ha piantato un alberello, hanno assunto un respiro ancora più universale. Richiamando l’enciclica Laudato si’, Francesco ha chiesto di continuare la lotta contro la deforestazione e la desertificazione, ha definito essenziale la tutela della biodiversità, ha ribadito che la speranza si deve accompagnare a un impegno concreto per trasformare «tutte le situazioni di ingiustizia e degrado» che fanno soffrire l’umanità. In questo senso la prossima Conferenza sul clima (Cop21) di Parigi non rappresenta soltanto la ricerca di un antidoto agli effetti devastanti di un 'tempo' metereologico che pare impazzito, ma la cartina di tornasole del rapporto di forza tra gli interessi privati di pochi, disposti a manipolare la scienza per realizzare i propri progetti, e il bene comune. L’alternativa infatti è tra migliorare l’ambiente e contribuire a devastarlo, allargando ulteriormente la forbice tra povertà e ricchezza, tra gli invitati alla tavola del benessere e chi ne viene sistematicamente escluso. Perché, ha aggiunto Francesco, «l’abuso e la distruzione dell’ambiente sono associati a un inarrestabile processo di esclusione». Come facilmente si può capire, c’è in questa dichiarazione d’amore per 'la casa comune', in questa preoccupazione per le sue sofferenze, un costante riferimento a quell’ecologia integrale, che il Papa indica come nuovo paradigma di giustizia, nella consapevolezza, recita la Laudato si’che non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, ma un’unica e complessa crisi socio-ambientale. Allora, la tutela dell’ambiente è legata a filo doppio al concetto di bene condiviso, per tutti, la cui realizzazione, riflette papa Francesco, chiede, impegna l’uomo a scelte solidali sulla base di una opzione preferenziale per i più poveri. Piantare un albero allora diventa molto più che un simbolo di speranza. È vita vera da salvaguardare e far crescere, è credito di prosperità per i giovani, è scuola di bellezza da condividere. Soprattutto è un richiamo all’amore di Dio per l’uomo, tanto grande da affidargli il Creato come dono gratuito, così disarmato e incomprensibile da far sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. E i semi, gli alberi, le piante sono riflessi, sono immagini di quell’abbraccio con cui il Padre di tutti vuole stringere a sé ogni creatura.Ecco allora il cedro del Libano che non marcisce, ecco il qiqajon, che regala ombra e riposo al ribelle Giona, ecco il sicomoro su cui si arrampica Zaccheo per vedere Gesù. Ecco i piccoli germogli che ciascuno di noi è chiamato a coltivare se vuole essere parte di un mondo che ha confini enormemente più grandi dei tanti, nostri ridicoli egoismi. Perché l’albero regala ombra e luce, è riparo per chi fugge dalle guerre, è crocevia per chi si è perso, è frescura contro il caldo opprimente della paura, è una scala verso il cielo per ogni uomo, oggi come nella Bibbia e per sempre, mendicante d’infinito.
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