venerdì 22 agosto 2014
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Caro direttore, la crisi dei valori universali della vita e la confusione sul senso autentico di alcuni fondamenti della fede sono la causa di cicliche barbarie che impongono ai veri credenti una reazione a difesa dell’identità e della vocazione spirituale di ogni uomo. Recentemente il tema della conversione è stato oggetto dell’Enoch Seminar, che si è svolto presso la Pontificia Università Gregoriana sulla figura di San Paolo. Come musulmani italiani abbiamo apprezzato gli interventi di alcuni esperti che hanno richiamato l’essenza della conversione di San Paolo come «rapimento al terzo cielo» mentre altri studiosi hanno preteso metterne in discussione la verità storica. Accade di peggio in epoca contemporanea quando assistiamo a fenomeni di conversione fatti con l’intenzione di un “sacrificio”, che nega la presenza del divino e la dignità nelle altre comunità religiose. Si tratta di una interpretazione esclusiva e ideologica di alcuni neofiti che strumentalizzano la vera natura dei termini conversione e intenzione, sacrificio e religione. L’insegnamento dei profeti e dei maestri sulla retta intenzione e sulla “chiamata” che gli apostoli di Gesù e i primi cristiani, il popolo di Mosè e le famiglie ebree, i compagni di Muhammad e i primi musulmani hanno saputo ben riconoscere, sembra non riuscire a scalfire le pretese di egemonia di alcuni detrattori del sentimento religioso. Questa arroganza trae “fondamento” dall’esclusivismo confessionale e dall’errore di imporre il “proprio dio” all’umanità intera, misconoscendo il messaggio di ogni dottrina religiosa che intende invece la conversione come un momento di svolta interiore: è questo vero riorientamento che ispira la testimonianza spirituale e la vera fratellanza tra i credenti, laddove l’esclusivismo ideologico usa il proselitismo come propaganda di potere e violenza civile. L’errore del fondamentalismo non riguarda affatto le conversioni a Dio, ma è piuttosto un abuso ideologico del sacro che nasce dall’esaltazione dell’io e dall’imposizione della propria idea di Dio e del mondo. Le autentiche conversioni a Dio escludono ogni esclusivismo e violenza. Basterebbe ricordare il comandamento comune a ebrei, cristiani e musulmani di «Non nominare il Nome di Dio invano» per smascherare la bestemmia dei falsi credenti quando invocano Dio contro altri fedeli. Può essere mai possibile una conversione contro l’Ebraismo, contro il Cristianesimo, contro l’Islam, contro le dottrine, i simboli e i riti di adorazione del Creatore dei cieli e della terra? L’invocazione del Nome di Dio rappresenta invece un metodo di devozione spirituale che si è mantenuto vivo negli ordini contemplativi islamici e, non a caso, ha alcune profonde similitudini con la “preghiera del Cuore” o la “preghiera di Gesù” praticata dai cristiani che rispondono alla vocazione di una spiritualità integra, integrale ma mai integralista. Le intenzioni di molti occidentali convertiti all’Islam che ho l’onore di seguire insieme a musulmani europei giunti alla terza generazione corrispondono proprio a questo anelito di elevazione spirituale. La loro testimonianza si esprime nello svelamento di una fratellanza eccezionale che riconosce la presenza di Dio in ogni creatura, non interpreta la conversione come appartenenza settaria in opposizione alla libertà religiosa, ma la vede come una benedetta occasione di orientamento della vita verso la conoscenza del mistero di Dio. Grazie a questa pia minoranza di uomini e donne presenti in ogni tempo e in tutte le comunità religiose si custodisce e si ritrasmette la Verità nella Pace, sinonimo della parola Islam, purtroppo tradita da alcuni musulmani. *Imam, Vicepresidente Coreis (Comunità Religiosa Islamica) Italiana
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