Il filo che lega
sabato 19 novembre 2016

Il Giubileo che si conclude oggi si illumina del colore rosso porpora di 17 nuovi cardinali. Quelli ai quali ieri Francesco ha consegnato non solo la berretta e non tanto un titolo da "princìpi" nella Chiesa, quanto un chiaro mandato missionario, che in un certo senso racchiude l’essenza stessa dell’Anno Santo giunto al suo termine. «Caro fratello neo cardinale, il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella quotidianità della vita (…) La nostra vetta è la qualità dell’amore; la nostra meta e aspirazione è cercare nella pianura della vita, insieme al Popolo di Dio, di trasformarci in persone capaci di perdono e di riconciliazione».
Ecco, in un certo senso il Giubileo che finisce riparte da queste parole del Papa in cui sono condensati gli elementi portanti del periodo che abbiamo vissuto: la misericordia come abito di tutti i giorni, uno stile di vita dal quale non potremo più prescindere.

E che, proprio perché – si spera – vivrà con noi nella quotidianità, si candida a divenire principio "rivoluzionario" in un mondo che invece tende a fare dell’altro un nemico, cedendo al «virus» della polarizzazione e dell’odio. Il Papa dunque capovolge le prospettive. E lo fa anche attraverso il Concistoro, o meglio attraverso l’intreccio tra la chiusura della Porta Santa della Basilica di San Pietro e la creazione di nuovi cardinali. Qual è il valore di questa scelta praticamente inedita? Diciamolo francamente: ci sono state stagioni, nella storia della Chiesa, in cui l’imposizione della berretta ai nuovi porporati si è colorato di una eccessiva «mondanizzazione» (Francesco stesso ebbe a ricordare che i cardinali non sono una corte reale).

Certamente non è così nei due giorni finali di questo Anno Santo straordinario della Misericordia. Innanzitutto per la scelta degli stessi destinatari della porpora. Che cosa hanno in comune l’umile prete albanese che ha passato 28 anni della sua vita ai lavori forzati (Ernest Simoni) e il nunzio apostolico che non ha voluto abbandonare la Siria neanche sotto le bombe (Mario Zenari)? Quale filo invisibile unisce il vescovo del Lesotho (Sebastian Koto Khoarai, l’unico ieri assente per motivi di salute), del quale al momento della nomina era difficile persino trovare una foto in rete, e i neoporporati (Blase J. Cupich, Kevin Joseph Farrell e Joseph William Tobin) degli Stati Uniti d’America, nazione più ricca e potente della terra? E quali esperienze accomunano i cardinali della Vecchia Europa e quelli che arrivano da Dacca, Kuala Lumpur, Port Moresby, l’Isola Maurizio e dall’America Latina? Il comune denominatore ce lo ha fornito lo stesso Francesco al momento della loro nomina. Tutti sono stati con la loro vita annunziatori dell’«amore misericordioso di Dio nella cura quotidiana del gregge del Signore e nella confessione della fede».

Ecco dunque spiegata anche la ragione del binomio. Cardinali nuovi (e vecchi) sono chiamati a dare continuità all’Anno Santo, ben oltre le necessarie sue frontiere temporali. E testimoniando con la loro vita e la loro provenienza che la misericordia di Dio non conosce confini geografici, sociologici o "storici", potranno prolungare nelle «pianure» esistenziali di un ritrovato tempo ordinario ciò che le vette del Giubileo ci hanno fatto toccare con mano. Da questo punto di vista l’"icona" simbolo è probabilmente la porpora per l’arcivescovo di Bangui, Dieudonné Nzapalainga.

Un anno fa nella povera città centrafricana, eletta dal Pontefice «capitale mondiale della spiritualità», veniva aperta la prima Porta Santa. Oggi che a Roma si chiude l’ultima, il primo rappresentante di quella diocesi è presente con la sua nuova veste che significa riconciliazione e perdono anche in situazioni estreme (non a caso è giunto a Roma in compagnia dell’imam della sua città, lo stesso all’epoca salì sulla papamobile con lui e Francesco). Un’icona che in fondo è traduzione sul piano pratico dell’odierna Solennità di Cristo Re, giorno finale del Giubileo. Il trono di Gesù è la croce, cioè l’amore per tutti che diventa servizio, specie ai più bisognosi. La stessa cosa che Francesco chiede ai suoi cardinali. E con loro alla Chiesa intera.

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