Il duro prezzo degli slogan
mercoledì 4 gennaio 2023

Gli slogan facili e a buon mercato li pagano sempre, e a caro prezzo, i cittadini. È la considerazione da fare alla luce di quel che sta avvenendo in queste ore: la decisione del governo Meloni di non confermare da fine 2022 il taglio delle accise per i carburanti varato dal governo Draghi ha, infatti, innescato un generale rialzo dei prezzi, ora avviati o già saliti sopra i 2 euro al litro. Un evento atteso. E tuttavia un rialzo ancor più oneroso, in questa fase della vita degli italiani, perché si somma all’aumento di ben il 23%, comunicato ieri, per le bollette del gas.

Una vera tenaglia, che accrescerà le difficoltà per famiglie e imprese. E ovviamente questa raffica di aumenti ha acceso la (facile) polemica delle opposizioni, pronte a rinfacciare alla maggioranza di oggi la solita e amara distanza fra le promesse elettorali e la dura realtà delle scelte di governo.

Va subito detto, a scanso di equivoci, che il problema riguarda o ha riguardato tutti, nessuna forza esclusa, anche se stavolta il “vizio” che risalta è quello del destracentro. Da settimane, comunque, gira sul web un simpatico video, girato durante la campagna elettorale per le Europee 2019, in cui l’allora presidente di Fdi e oggi presidente del Consiglio ironizzava, a bordo di un’auto, sul fatto che lo Stato si incamera ben oltre il 50% di quello che spendiamo facendo il pieno, concludendo che le accise vanno progressivamente tolte «perché è uno scandalo che le tasse dello Stato compromettano così la nostra economia». E molti ricordano che ancor prima, mentre nel 2018 stava nascendo il governo gialloverde, Matteo Salvini aveva annunciato l’abolizione «nel primo Cdm» di almeno sette accise storiche, poi puntualmente rimaste a gravare sulle tasche degli italiani.

Parole forse efficaci in funzione “acchiappa-voti”, ma destinate a scontrarsi con la realtà. Il taglio delle accise è peraltro un terreno su cui si confrontano da tempo due filosofie: da un lato c’è chi insiste sul fatto che si tratta di una misura molto costosa (nel 2022 è stato valutato che risucchierebbe circa un miliardo di euro al mese, poi ridotti a 600 milioni a dicembre) e poco equa, perché ne beneficerebbero tutti, senza distinzione di reddito; dall’altro c’è chi pensa che, in questa fase storica, l’annullamento degli effetti sui cittadini dei rialzi di gas e carburanti debba essere l’obiettivo prioritario, rispetto alla tendenza a impiegare quei maggiori incassi fiscali in una miriade di bonus, a volte di dubbia efficacia. Il nuovo governo, che si è presentato sulla scena con un carico di aspettative (anche da parte di chi non l’ha votato), promette ora un riordino complessivo delle accise, da affiancare al riallineamento del mix energetico per ridurre la dipendenza dal gas. Per ora però nulla si muove, se non i prezzi all’insù.

Quel che, qui, preme sottolineare è la nemesi della politica di governo, che costringe a smentire slogan e rivedere posizioni che pure servono per raggranellare consensi. È quel che accade anche con il Mes, dove lo “storico” no a priori di Fdi e Lega al cosiddetto Fondo europeo salva-Stati ha impedito in passato la ratifica del relativo Trattato che invece ora, con le due forze arrivate al governo, si vorrebbe approvare (anche se con la promessa di non chiedere mai quei fondi).

Nel messaggio di fine 2022 il presidente Mattarella ha appena ricordato che l’alternanza di governo, ormai compiuta, nel nostro sistema repubblicano sta obbligando tutti i partiti ad assumere una realista «responsabilità» delle scelte. Se a questa si unisse ora l’abbandono dell’antica arte di promettere l’impossibile, saremmo se non a una rivoluzione almeno al cospetto di una svolta. Il lascito positivo che questa situazione negativa garantirebbe all’Italia, pur nell’amarezza degli aumenti, dolorosi per tutti. Difficile che accada, ma sperare si può.

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