martedì 1 dicembre 2009
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Nella vastissima Repubblica democratica del Congo vi sono province, come quelle del Nord e Sud Kivu, dove il caos regna sovrano. Stiamo parlando di un territorio ricchissimo di materie prime, che da oltre un decennio è sconvolto da un’irrefrenabile spirale di violenza. Un clima brutale acuito dalla cultura d’impunità di cui godono le formazioni armate, con la connivenza di poteri più o meno occulti. Basta dare un’occhiata ai dispacci che inviano i volontari di Medici Senza Frontiere (Msf) per rendersi conto delle vessazioni perpetrate contro gente innocente. Dal gennaio scorso questa benemerita organizzazione umanitaria ha trattato oltre cinquemilatrecento vittime di violenza sessuale a riprova della totale assenza di uno stato di diritto. E mentre le autorità militari congolesi diffondono con clamore raffiche di dispacci sui successi conseguiti contro la famigerata milizia ribelle hutu – le cosiddette Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (Fdlr) – con l’intento di far credere che la situazione sia ormai sotto controllo, la realtà è assai diversa dalla propaganda. Il business minerario infatti fomenta a dismisura la sporulazione di nuovi gruppi armati, al punto che non passa settimana senza che venga annunciata la nascita di una nuova formazione. Ma il dato forse più inquietante riguarda lo sfruttamento illegale delle risorse del Kivu che, secondo autorevoli fonti della società civile, avviene con la connivenza tra il regime ruandese e le Fdlr. Benché queste due entità siano ufficialmente antagoniste, gran parte della cassiterite e del coltan estratti nei siti minerari controllati dalle Fdlr ed esportati dal Kivu transitano 'curiosamente' - è proprio il caso di dirlo - per Kigali. Alcuni osservatori ritengono che la presenza delle Fdlr nel Kivu sia usata dal regime di Kigali come pretesto per intervenire, direttamente o indirettamente, nel Kivu stesso e mantenerlo, militarmente e politicamente, sotto il suo controllo per poter continuare a usufruire degli enormi benefici derivanti dall’attività commerciale delle risorse minerarie congolesi. Ecco perché non ci sarebbe affatto da stupirsi se un giorno si venisse a sapere che le violenze ora attribuite a 'presunti Fdlr' fossero volute e pianificate dal governo ruandese, con il medesimo obiettivo. D’altronde l’esercito congolese ha nel proprio organico, in seguito all’accordo di pace tra le parti, una presenza cospicua di militari provenienti dalla milizia filoruandese del Cndp (il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo). Nel frattempo, la Monuc, la forza di peacekeeping delle Nazioni Unite, s’è risolta in un clamoroso 'fiasco'. Stando ad un rapporto ufficiale che sarà discusso in una prossima riunione del Consiglio di Sicurezza, la Monuc sarebbe stata incapace di contrastare le Fdlr che godrebbero dell’appoggio di una rete di finanziamento non solo in Africa ma anche in Europa e nel Nord America. Sempre in questo rapporto Onu si fanno i nomi di due missionari saveriani accusati d’essere finanziatori della guerriglia. Notizie come queste amareggiano perché le testimonianze che vengono dalle loro comunità cristiane indicano l’esatto contrario. La questione di fondo invece, troppo spesso sottaciuta dai media, è che la popolazione del Kivu sta subendo un’occupazione militare occulta a seguito delle mire espansionistiche dei paesi limitrofi, in particolare il Rwanda e l’Uganda, coinvolti nello sfruttamento illegale delle risorse minerarie congolesi tra cui figurano anche oro, petrolio e gas metano... Non v’è dubbio allora che, al di là della retorica profusa nelle cancellerie di mezzo mondo, sarebbe auspicabile l’introduzione della pratica di una certificazione di origine dei prodotti minerari per impedire un saccheggio che contribuisce a finanziare il conflitto.
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