domenica 25 febbraio 2018
L’accesso al diritto alla conoscenza della propria origine va tutelato e regolamentato perché ha a che fare con la propria identità, con la propria personalità e la natura biologica
Una donna haitiana con il suo bimbo in Cile (Ansa)

Una donna haitiana con il suo bimbo in Cile (Ansa)

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Caro direttore,

in merito alla lettera pubblicata con risposta di Luciano Moia il 14 febbraio scorso sulla ricerca delle origini dei figli adottivi, in particolare quelli non riconosciuti alla nascita, mi preme condividere alcune considerazioni. Alcuni passaggi della lettera della signora Greta – che ha animato un dibattito già acceso e al quale anche lei, direttore, ha aggiunto sue considerazioni – li ritengo, infatti, inappropriati e fuorvianti soprattutto per i lettori che non conoscono questo tema così complesso e delicato, sul quale non può essere assolutizzata nessuna posizione, anche se personale.

Vorrei partire con una riflessione attorno alle logiche che sono alla base della costruzione di una legge in relazione alle necessità delle persone. Ricordiamoci anzitutto che una norma si crea per regolamentare diritti e doveri differenti, affinché gli uni non prevarichino sugli altri. Nel caso della 'legge dei 100 anni', che impedisce a un figlio adottivo non riconosciuto alla nascita di accedere alle proprie informazioni di origine sino al compimento del centesimo anno di età, dove risiederebbe questo bilanciamento del diritto (in questo caso tra la madre biologica e il figlio partorito in anonimato) che è alla base della nostra intera giurisprudenza? Inutile ricordare che tutti gli organi giudiziari internazionali (Cedu) e nazionali (Corte Costituzionale, Corte di Cassazione a Sezioni unite), hanno decretato e sanzionato l’assoluta incostituzionalità di questo divieto normativo, proprio perché impedisce ad alcuni cittadini la possibilità di completare il ciclo evolutivo che permette di avere piena consapevolezza della propria identità.

Ma cosa è l’identità? L’identità è l’idea che ogni persona ha di sé, costituita dalla propria personalità (psiche) e dalla percezione del sé corporeo (soma). Tale idea si costruisce nelle relazioni, attraverso esperienze fisiche e psicologiche che un individuo sperimenta di sé stesso durante il corso della propria vita, a partire dal suo inizio costituito dal concepimento. Insomma: si nasce e da quel 'punto zero' iniziale si dà il via al proprio percorso esistenziale. Negare tutto questo, pensando che la propria vita inizi dal momento dell’adozione (la famosa 'rinascita'), significa costruire la propria identità partendo da informazioni non complete, o addirittura distorte. In natura tutto ha una sua origine. Può un albero, infatti, crescere, resistere, adattarsi agli ambienti e alle stagioni, dare frutti senza radici dalle quali ricevere nutrimento? Perché allora le persone, nello specifico i figli adottivi, dovrebbero rispondere a logiche naturali diverse?

In tal senso, da circa 40 anni, studiosi come Brodzinsky (Usa), Palacios (Spagna), e tanti altri in tutto il mondo, hanno dimostrato che le persone adottate sentono il bisogno di conoscere le proprie origini. Coloro che le hanno ritrovate hanno poi condotto una vita qualitativamente migliore perché sono riusciti a 'chiudere un cerchio' esistenziale, in quanto hanno trovato informazioni relative proprio a quel 'punto zero'. Non per questo non si sono sentiti figli appartenenti e amati dalle famiglie adottive. Al contrario è stato dimostrato che coloro che non si sono dati il permesso o hanno negato il bisogno di conoscere le proprie origini, hanno una personalità 'adattata' o vivono sensi di colpa per non sentirsi sufficientemente riconoscenti e grati nei confronti dei loro genitori adottivi. In conclusione. L’accesso al diritto alla conoscenza della propria origine va tutelato e regolamentato perché ha a che fare con la propria identità, con la propria personalità e la natura biologica. Il diritto della madre di poter partorire in anonimato deve essere mantenuto, così come quello del figlio di poter fare istanza per la conoscenza, che non inciderà, come alcuni affermano, sull’aumento del numero degli aborti (dei quali nessuno sa esibire una statistica in merito) in quanto le pratiche di interpello sono estremamente segrete e l’esito è appannaggio della madre che avrà sempre l’ultima parola. Deve esserci, insomma, libertà piena di usufruire o meno di un diritto che non può continuare a essere negato per quei cittadini che stanno scontando, ancora oggi, un 'ergastolo esistenziale'.

*psicoterapeuta e giudice onorario al Tribunale per i minorenni, figlia adottiva proveniente dal Cile

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