Vitalizi, mortificazioni e tentazioni, ma rinunciare all'Italia non si può
sabato 14 luglio 2018

Caro direttore,
venerdì 13 luglio 2018, il suo giornale nel taglio centrale di prima pagina ha titolato: «Una sforbiciata a 1.300 vitalizi». Sui privilegi della "casta" si è sempre fatto di ogni erba un fascio. Sono anch’io uno degli "sforbiciati". Nel caso di alcuni anziani e anzianissimi come me (ho quasi 80 anni), la sforbiciata non ha toccato la punta dei capelli, che molti di noi hanno perso da tempo. Forse la forbice di Fico, dovendo tagliare qualcosa e non trovando capelli da sforbiciare ha sforbiciato quello che sta sotto: la testa. Il 10% o il 20% possono essere ritenuti "sforbiciate", ma il 70% no. E io sono uno di quelli che si vedrà tagliato il vitalizio al 70%. Il clima di caccia alle streghe non ha lasciato fuori neppure il mio partito, il Pd: tutti si son sentiti in dovere di partecipare a una festa come quella a cui si apprestavano le tricoteuses durante il Terrore francese: si portavano da casa la sedie per sedersi sotto il palco, in prima fila, per assistere eccitate agli schizzi di sangue dei decollati. Non ho mai difeso la casta in quanto casta: ho sempre saputo che noi parlamentari troppe volte abbiamo chiuso un occhio quando dentro il nostro Parlamento succedevano cose non belle. Ma sapevamo che i Parlamenti nel loro nascere non prevedevano stipendi, perché in Parlamento ci andavano i ricchi a difendere i loro privilegi. Quando cominciarono ad andare alla Camera dei comuni i primi minatori inglesi e gli operai, allora si affrontò il tema di come sostenerli economicamente. Anche le immunità miravano a sottrarre il parlamentare, che rappresenta non il territorio o il partito ma l’intera nazione, alla pressione di altri poteri che potessero ledere il potere sovrano del legislatore. Il ministro Fraccaro ora annuncia anche il taglio del numero dei parlamentari: gli suggerisco una mia vecchia proposta di legge che andava in tal senso. Al presidente Fico sottopongo, invece, una modesta riflessione: sono disposto a rinunciare a tutto il vitalizio se mi date il tempo di organizzarmi.
Sono uno di quei fortunati che ha goduto della pensione al compimento dei 50. Ricordo quel giorno: mi sentii ricco per la prima volta in vita mia: nelle mie 5 legislature con il Partito comunista e poi col Partito radicale sono sempre vissuto con mezzo stipendio: impossibile accumulare ricchezze. A 50 anni avevo, invece, una pensione mia e potei tornare all’Università che non avevo mai abbandonato, nel mio modesto ruolo di assistente. Mi sentivo uno fortunato e ho condiviso la mia fortuna con moltissimi dei miei studenti cui ho dato tutto quello che potevo. Regalerò loro anche i miei 80.000 volumi, che sono il vero tesoro che ho accumulato negli anni, e che la biblioteca della mia Università dove ho lavorato 40 anni non è in grado di ricevere: metterò un banchetto in piazza. Venderò anche la casa e il mio studio. E dopo me ne andrò, scomparirò senza mettere a disagio le persone che mi sono care, in primo luogo mia moglie che ha accettato di sposarmi qualche settimana fa, nel momento più cupo e angoscioso della mia vita.
Ho apprezzato, caro Tarquinio, come lei sa, tante delle battaglie del suo giornale pur essendo io un laico non credente e sempre ho avuto da "Avvenire" una cara e affettuosa accoglienza, nella consonanza e nella dissonanza. Conservo da tempo una foto che comparve su queste pagine, sulla tragedia dei migranti: una colonna di disperati che sulla rotta balcanica stanno attraversando un fiume limaccioso. Si vede un giovane uomo con l’acqua quasi al ginocchio che tiene per mano due figli. Dietro lo segue una donna carica di sacchi e sacchetti. Ma c’è un terzo figlio piccolissimo. L’uomo ha le due mani occupate dai due figli più grandicelli. Il terzo figlio lo tiene per la collottola tra i denti. Quella foto mi ha detto tutto sulla condizione umana. Sulle enormi iniquità che le ambizioni del mondo producono. Boeri, nei suoi suggerimenti al presidente Fico, ha fatto notare che i più "sforbiciabili" erano appunto quelli che da molto tempo godevano della pensione. Non è rilevante se quella pensione rientrava nelle regole vigenti e che, forse, da tempo noi stessi avremmo dovuto modificare. In sintesi, abbiamo vissuto troppo. Essere longevo è dunque una grave colpa per le magre casse dello Stato. A tutti i vecchi fortunati come me dico allora: coraggio, amici. Che fossimo morituri lo sapevamo dal momento della nostra nascita. Adesso ci viene ricordato con una certa corale brutalità. I miei amici del Cuamm (Medici per l’Africa) mi dicono che possiamo essere utili anche nelle condizioni in cui siamo. Penso che quando riusciremo a far sorridere un bambino che ha perso tutto, senza genitori, affamato forse più di una carezza che di un pugno di riso, anche di questa nostra condizione di "sforbiciati" ci verrà da pensare come di una cosa da marziani. Con la stima di sempre.
Alessandro Tessari

L’unica cosa che mi ha lasciato interdetto di questa lettera così onesta, anche autocritica e (giustamente) offesa, caro professor Tessari, è il suo tono non solo amaro, ma anche rinunciatario. Rinunciatario... all’Italia, cioè – se ho bene inteso – a una vita in Italia. No, caro amico, resista alla tentazione di «sparire». Già se ne vanno troppi giovani e non sono affatto pochi gli anziani che li seguono o li precedono, magari per puro calcolo fiscal-pensionistico. Perciò, la prego, resista. O, se proprio deve andare via da questo nostro straodinario, ma stordito e incattivito Paese, continui a farlo a intermittenza, come ha sempre fatto tra la Germania e la Spagna catalana, per militanza intellettuale, e non per mortificazione ricevuta e per sdegno. Sia chiaro: so bene che anche da un po’ più lontano (o anche da molto) lei continuerebbe a seguirci, a dialogare anche con me e a condividere con tanti "non incasellabili", credenti e non credenti, l’adesione libera e creativa a un umanesimo solidarista, vigorosamente non-violento, dolcemente rivoluzionario. Ma resista, assieme e accanto a sua moglie. Doni, certo, se proprio vuole, tutti i libri che desidera – e che la sua amata Università padovana non può ricevere – agli studenti. Ma non sbatta idealmente la porta di questo Paese che l’ha fatta sentire di troppo e troppo privilegiato.
È vero, l’ulteriore riforma delle "indennità differite" (perché questo sono i cosiddetti vitalizi: parte dello "stipendio" parlamentare, corrisposta solo alla cessazione del mandato e se è stata raggiunta l’età pensionabile) è fatta sia di sforbiciate sia di forti tagli. Come quello che la riguarda. Personalmente, confesso ciò che i lettori di questo giornale già sanno, non riesco a stare nel coro neppure a proposito di vitalizi e immunità. Perché l’uno e l’altro strumento non sono sbagliati o superflui in sé, servono – e ce ne renderemo conto, temo – se non vogliamo che la politica torni a essere "cosa da ricchi" o dai ricchi e dai potenti condizionabile. Servono, e non solo per discorsi (ri)vendicativi o per affari elettorali da arruffapopolo. Serve tanto quanto, però, che non siano motivo di scandalo: che non insultino, cioè, per sproporzione e ostentazione la vita semplice della gente che vede, legge ed elegge. Come lei ammette, in passato purtroppo è accaduto proprio questo. Da almeno sette anni (dalla riforma faticosamente varata in Parlamento ai tempi del Governo Monti) non accadeva più. Ora stiamo arrivando, a partire dagli ex onorevoli, ben più avanti, perché c’è anche la messa in questione dei famosi "diritti acquisiti". Terreno pesantissimo e insidioso... Se non ci penserà la Corte costituzionale a ritracciare un limite, penso che non ci si fermerà alla vera o presunta "casta" e potrà toccare a tanti altri pensionati (baby, d’oro, d’argento e forse anche di bronzo...). E con questi chiari di luna previdenziali in un’Italia sempre più vecchia e con sempre meno figli ne vedremmo e sentiremmo delle belle, anzi delle brutte.
Certo, c’è l’aspetto simbolico di questi tagli e sforbiciate. Con essi si proclama, anche "ferendo" persone per bene e niente affatto ricche come lei, caro professor Tessari, che viene il tempo di una nuova sobrietà. Intenzione che, questa sì, piace molto anche a me. Vorrei solo che per tutti riguardasse, la sobrietà, anche l’esercizio della parola e del potere. In ogni circostanza.
Grazie per tutto ciò che di buono pensa e dice e trova nel nostro lavoro. Ricambio, come sempre, la stima e rinnovo l’appello: non "sparisca", non ci tolga l’ottimo disturbo della sua franchezza e dell’intelligenza.


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