Prima le persone, ecco la priorità. È l'unica strada per «sortirne insieme»
sabato 31 ottobre 2020

Caro direttore,
le scrivo da una piccola cittadina del Nord-Est, 18mila abitanti, tessuto ricco di scuole, molte quelle secondarie di secondo grado, Le scrivo come madre di quattro giovani donne e giovani uomini, una studentessa universitaria, due studenti di scuola superiore (è ancora bello chiamarla così) e una studentessa di scuola media. Per evitare gli assembramenti, quelli causati dai ragazzi, la politica ha deciso di chiudere ancora una volta le scuole, il luogo della socialità maggiore soprattutto per i nostri ragazzi adolescenti, le scuole dove si ama, si sogna, si progetta, si pensa al futuro. In questi giorni sono uscite le comunicazioni del nuovo orario scolastico, adattato a una didattica digitale integrata almeno al 75%. E ho sentito ancora una volta forte in me l’amarezza, la tristezza, la rabbia. Perché una classe politica non ha voluto ascoltare chi aveva proposto delle soluzioni, magari anche parziali, per evitare tutto questo. Io li vedo, i miei figli, al mattino. Li saluto mentre vado al lavoro. E poi li lascio alla loro didattica digitale. E torno a casa alla sera. E sono ancora davanti a questo pc, allo smartphone, a volte non riesco a staccarli, devono sempre mandare l’ultimo messaggio, non hanno più voglia di uscire. Devo quasi sempre litigare per farli “spegnere”, le volte che ci riesco. Sono anche bravi, loro. Sono resilienti. E sanno trovare soluzioni innovative. Lo sappiamo che i giovani sono così: ma non è giusto che la loro formazione non sia una priorità. Non è giusto per il futuro della nostra società e di questa nostra Italia. Allora mi piacerebbe capire perché le scuole sono sempre le prime a chiudere, perché per i ragazzi e le ragazze si deve sempre aspettare, perché i nostri figli e le nostre figlie non sono messi in primo piano nell’agenda di chi governa al centro e sui territori. Io non lo sento, questo. Non sento che sono in primo piano. Ma loro sono il nostro futuro, e dobbiamo valorizzarli, premiarli, dare loro importanza. Come dice il Pellai, dobbiamo far sì che “la politica sogni questi ragazzi”. Adesso si chiede di nuovo molto a tutte e tutti noi. E noi ci impegneremo. Ma l’impegno di marzo era più forte, perché ci sentivamo uniti contro il coronavirus. Rileggere ciò che ha scritto su “Avvenire” di domenica scorsa, 25 ottobre, il professor Walter Ricciardi ci fa capire che non è stato fatto qualcosa di essenziale nei mesi estivi quando si poteva e doveva fare e tanti – politici nazionali e locali oltre a presunti sapienti – spingevano invece a credere che la pandemia fosse ormai alle nostre spalle. Così il Covid è tornato a colpire forte. Poveri i nostri ragazzi, in mezzo tra l’incudine e il martello. Proviamo «a sortirne insieme», allora, come dice don Lorenzo Milani.
Monica, una mamma

La penso come papa Francesco, cara mamma Monica: una società che non investe seriamente sui suoi giovani e non fa di tutto per custodire i suoi anziani è una società che rinuncia a essere «giusta, solidale, bella». E sono più convinto oggi che all’inizio della pandemia che anche in questa crisi (non solo) sanitaria la via d’uscita, la via verso un futuro migliore, e che dunque non sia solo un ritorno al passato pre-choc, si può costruire solo con la solidarietà tra le generazioni. Per questo, lo ammetto, sono molto preoccupato. Vedo infatti coltivare e propagandare logiche di tutt’altro segno, all’insegna di un solo apparentemente sventato menefreghismo. In realtà quel menefreghismo, ancora alimentato da calcolate inerzie e slogan cattivi e negazionismi assurdi, è del tutto funzionale a un progetto che vuol ricostruire sulle stesse basi sbagliate il sistema del quale la pandemia ha evidenziato – uso un altro aggettivo caro al Papa – la «inequità». Senza equità e senza visione è la logica che guida sistemi che da anni disinvestono su una sanità diffusa e di qualità (in Italia, per parlare proprio dei casi nostri) o la considerano un lusso insostenibile (negli Usa, cioè nella prima potenza mondiale). Senza equità e senza visione è la logica per la quale – come lei ricorda, cara e gentile signora – se c’è da chiudere le fabbriche si comincia per prima cosa da quella grande fabbrica di futuro che è la scuola, ovvero dai luoghi dove si forma la nuova generazione, dove si prepara il domani di tutti... Una riprova di quanto questa logica sia pervasiva? Agiamo sulle leve della (necessaria) spesa supplementare in frangenti così drammatici, facendo debiti che graveranno sulle spalle dei nostri figli e nipoti, ma per loro – le nostre ragazze e i nostri ragazzi – non sappiamo mettere in campo una strategia che li riconosca come la “priorità” che invece sono. E questo dovremo invece saper fare, e non per vezzeggiarli, viziarli, fargliela facile, ma per valorizzarli e metterli alla prova. Si finisce per essere più propensi – come scrive oggi in prima pagina Eugenia Roccella – a rioffrire loro l’apericena che fa Pil rispetto a una lezione “in presenza”.
Non si vede la trama? Le persone, secondo questa logica, non hanno il primo posto, non sono la vera ricchezza della società, non sono il cuore e l’obiettivo di ogni progetto, ma sono di fatto pedine, accessori, risorse tra le altre, e persino problema, peso, impaccio... L’Italia nel primo tempo della pandemia ha saputo dire forte e chiaro “prima le persone”. A noi stessi, e agli altri. Mentre lo faceva ha riscoperto la forza e i punti deboli della Sanità regionalizzata e si è ripromessa di mettere in condizioni di funzionare le Scuole di ogni ordine e grado. E su quest’ultimo punto do volentieri atto alla ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina – e ad altri e altre responsabili del governo che l’hanno sostenuta – di aver agito con lucidità e pazienza nella condizione data e di essersi battuta a fondo con chi, a livello locale e non solo, ha scelto oggi di andare in direzione opposta e, magari, ieri non ha accompagnato con la costruzione di un servizio di trasporto scolastico potenziato il significativo lavoro fatto su sedi e classi.
Penso, come il professor Ricciardi che a sua volta torna oggi a ragionarci su in prima pagina, che si sia persa la battuta in frangenti cruciali che sono alle nostre spalle, ma penso anche che Governo e Parlamento possano ancora confermare all’insegna del “prima le persone” una linea di resistenza attiva al Covid-19 e alle sue conseguenze sociali ed economiche, e dunque non solo reattiva (nell’essenziale livello sanitario e nel sostegno a persone, famiglie e imprese) e passiva> (con nuovi e purtroppo prevedibilmente necessari “restiamo a casa”).
Adesso, come lei scrive, è per davvero il momento di lavorare per «sortirne insieme». Quest’arte – diceva don Milani – «è la politica», definendola il contrario dell’«avarizia» (che potremmo tradurre col mero calcolo economicistico). E per far buona politica bisogna proprio che la giusta priorità sia netta e chiara. Prima le persone.

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