Tra la fermezza e il fermare le armi c’è il perdono. Ed è cristiano e civile
sabato 16 aprile 2022

Queste lettere offrono diverse intonazioni e domande sulla guerra in atto e sulla pace che, per esser vera, dovrà avviare un ben diverso cammino di fiducia e giustizia. Non un’altra guerra fredda

Gentile direttore,
continuano a risuonare, praticamente ogni giorno, le parole del Papa: «In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro». Esse segnano uno spartiacque tra il fermarsi e la fermezza. Tra questi due concetti c’è il perdono. La guerra, è vero, è l’esperienza umana più ciclica nella storia. E se dicessimo la stessa cosa della pace faremmo un torto ideologico, perché la pace stessa non può essere (nell’immaginario comune) ciclica, ma deve essere l’obiettivo primario di stabilità esistenziale sul piano globale. Qual è allora il motore della Pace dinanzi alle sciagure belliche, al terrorismo, a ogni forza di sopraffazione? Proprio il perdono, che è un processo di ricerca che pone la nostra realtà in confronto con il cuore stesso dell’umanità, illuminato dal Vangelo. Il perdono è la base, cioè, di un modo diverso di vivere. Chissà se i parenti dei morti delle guerre, di qualunque parte del mondo, avranno la forza del perdono? Ma noi abbiamo un compito: portare loro la speranza. Perché si costruisce nei cuori. Anche dove non c’è democrazia. Con fermezza.
Angelo Lucarella, Martina Franca (Ta)

Caro direttore,
nella mia vita ho scritto e visto pubblicato oltre mille lettere e pezzi dai giornali a cui mi sono rivolto o con i quali ho collaborato, ma, mi creda, guardando le immagini di ciò che sta avvenendo nella martoriata Ucraina, non riesco a trovare un aggettivo che definisca in modo esauriente tale terribile spettacolo. E sia pur credente, non mi riesce nemmeno di rivolgere una prece a Dio, nella percezione, forse errata o forse no, che Egli abbia abbandonato tutti alla nostra pochezza di uomini. È come se vedessi anche la Fede sgretolarsi tra le incredibili rovine delle città ucraine!
Edgardo Grillo

Gentile direttore,
in questo periodo siamo tutti impegnati a dire la nostra sulla guerra in corso, tanto che mi chiedo quale raccoglimento riusciamo a vivere in vista della Pasqua. CI sono parole anche parole scomode e utili. Ma neanche le parole scomode del Vangelo, espresse con tanto amore da papa Francesco, sembrano aiutare il nostro Governo... Eppure in Italia siamo in tanti a non volere più armi, a non volere riarmi. Ma dove sono finiti i sondaggi sui giornali che sempre li sbandierano? Chi invece, da cristiano, si schiera a favore dell’uso delle armi si appiglia alla filosofia e non so a cos’altro per giustificare la guerra di difesa in conseguenza dell’aggressione di Putin, ma soprattutto si attacca a quel “diritto alla legittima difesa” contemplato dal catechismo della religione cristiana cattolica... Tutti ci indigniamo davanti alle devastanti immagini di guerra e riconosciamo e denunciamo la responsabilità di chi attacca, ma tutti rischiamo anche di coltivare sempre di più odio, odio totale e non verso la guerra, ma solo e soltanto verso il “nemico” che va sconfitto unicamente con la violenza. Il Papa, invece, col suo sguardo ci allontana dal concetto di “guerra giusta”, per far vincere il Vangelo che dice: “Ama il tuo nemico”. Il Papa della Resurrezione, io lo chiamo così, è un uomo o meglio un pastore che cerca di far vivere il Vangelo di Cristo oggi, andando oltre il tanto citato, usato e strumentalizzato “diritto alla difesa”. Grazie del vostro lavoro.
Stefania Celentano, Milano

Signor direttore,
prendo atto della notizia data a pagina 4 di Avvenire del 14 aprile. Forse meritava qualche commento (che magari apparirà in seguito). Il nunzio apostolico, il lituano Kulbokas, ha trasmesso il disappunto ucraino circa le due partecipanti alla discussa stazione della Via Crucis presieduta dal Papa; e ha aggiunto, di suo, valutazioni non poco pesanti: riconciliazione c’è quando si ferma l’aggressione. Quanto all’intervento da lei proposto nella pagina degli editoriali di due tra gli organizzatori della Marcia della Pace Perugia-Assisi del 24 aprile, che dovrebbe portare un contributo al «grande movimento di cittadini per la pace» che anche lei – direttore – auspica, si nota l’assenza delle parole “Russia” e “Putin”. Per il povero Afghanistan, poi, contano solo gli anni di guerra dal 2001. Gli anni della invasione da parte dell’Urss valgono zero: un anno è meno di un giorno (come nel salmo). Buona Pasqua
padre Luigi Amigoni, crs

Caro direttore,
leggo con piacere le lettere di solidarietà e vedo i pubblici attestati (e le critiche) per l’impegno del giornale, e suo in particolare, nel ribadire una prospettiva di pace nella lettura e nel commento dei fatti d’Ucraina in queste dure settimane di guerra aperta. Sono per me un’occasione per ricordare il momento in cui sono diventato un lettore (e poi abbonato) di “Avvenire”. Infatti, nel lontano 1990-91, nel momento della prima guerra in Iraq – chiamata ipocritamente “operazione di pace” – “Avvenire” si distinse nel dar spazio con chiarezza alla voce del Papa sulla guerra e nel mantenere un profilo lucido nel giudicare i fatti di quei giorni e di tutte le guerre che si sono succedute in questi anni (senza che per molte di esse l’opinione pubblica fosse mobilitata come ora). Il giornale si guadagnò allora la mia stima e affetto, che nuovamente vi esprimo: grazie!
Lorenzo Lusetti

Caro direttore,
una buona Pasqua di pace. A tutti. Senza bandiere se non quelle del mondo intero, senza colori se non quelli dell’iride tutto, senza armi e senza guerre. Con lo sguardo delle due infermiere – ucraina e russa – del Venerdì Santo.
Teresio Asola, Torino


Ho scelto una serie di lettere che portano in pagina diverse intonazioni e diverse domande, cristiane e civili, sulla guerra in atto e sulla pace che deve venire e che, per essere vera, dovrà dare inizio a un altro e diverso cammino di fiducia e giustizia, non a una separazione dei mondi da vecchia “guerra fredda”. Mèta ardua da inseguire mentre si caricano e ricaricano le armi, si fanno stragi di umanità e verità e l’odio si radica nella vita straziata e infuriata degli uomini e delle donne coinvolti – gli ucraini sotto attacco, i russi inviati al fronte – e di chi guarda da lontano tra orrore e paura e pietà. Dio solo sa perché la nostra libertà è così vertiginosa, perché ci consente di fare tanto male e di spingerci, in un’assurda scommessa di potenza, sin sull’orlo dell’autodistruzione. Ma anche noi – ammaestrati dalla storia – sappiamo che giorno verrà in cui vedremo ancora più chiaro in quello che sta accadendo. E in tanti, anche tra chi oggi non trova le parole, riconosceremo e denunceremo la crocifissione delle vittime della violenza di nuovo scatenata da Putin (come già in Cecenia, in Georgia, in Siria...) e insieme quella dell’umana ragione, che è sorella della buona fede ed è inchiodata, con Cristo, e con ogni poverocristo, dai ferri acuminati di euforie e calcoli bellicisti. Due parole al gentile padre Amigoni: gli suggerisco, rispettosamente, di rileggere il testo di Flavio Lotti e Marco Mascia (dove si parla apertamente di «invasore russo») e il mio breve editoriale del 13 aprile. Lì dico già tutto l’essenziale, anche sulle tristi posizioni assunte da uomini di Chiesa sull’inopportunità del perdono, cristiano e civile, incarnato da due donne, un’ucraina e una russa, in preghiera insieme sotto la croce. Cristo, nostra pace, è morto perdonando, ed è risorto per tutti. Auguri di buona Pasqua.

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