giovedì 19 febbraio 2015
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Tredici anni fa in Belgio fu introdotta la legge sull’eutanasia. Nel primo anno i morti furono 235. Nell’ultimo anno di cui ci è nota la statistica, sono stati 1.816. La legge pareva avere maglie strette, prendeva i medici come interlocutori, dettava per loro schemi, segnali, condizioni, strettoie e burocrazie prima di scioglierli dal problema di «commettere alcuna violazione». Il presupposto formale era l’istanza (volontaria, meditata e reiterata) del paziente, quello sostanziale era la malattia senza speranza e la sofferenza senza rimedio, la procedura era articolata e sorvegliata. Uno sfondo che pareva evocare, a suo modo, il "caso-limite" per far passare dentro la regola lo strappo misurato.Lo strappo, negli anni, si è allargato a dismisura. E a dismisura è cresciuta la prenotazione, per così dire, dell’eutanasia, da parte di chi si trova in buona salute ma teme di divenire in futuro incapace di chiedere la morte. Quelle che altrove si chiamano "dichiarazioni anticipate di trattamento" e il riguardano il consenso o il dissenso sulle cure, nella legge belga si concretano nella anticipata «richiesta che un medico pratichi l’eutanasia» quando in futuro ci sarà malattia grave e inguaribile, stato di incoscienza e situazione non reversibile. Lo scorso anno le dichiarazioni registrate presso i Comuni sono state 24.360, con una crescita di quasi 4mila sull’anno precedente. Del pari sono cresciute le dichiarazioni di conferma, allo scadere dei cinque anni di validità. Che cosa significano queste cifre, quale realtà umana descrivono o coprono, quali problemi ritengono di eliminare, quali inquietudini e angosce sollevano, questo è oggi il nostro pensiero, il nostro quesito, rammentando che dall’anno scorso in Belgio l’eutanasia si può praticare in nome della legge anche sui bambini. Sui bambini. Le parole legali sono stavolta, più che maglia stretta, di maglia straziata, fino alla raffinata ipocrisia del responso d’uno psicologo per dire che il bambino chiede e capisce che vuol morire. Reagisce, tragica e dolente, la Dichiarazione 567 del Consiglio d’Europa sulla «visione inaccettabile» che «tradisce alcuni dei bambini più vulnerabili e mette in crisi la base della nostra società civilizzata».È dunque il ripensamento sulla civiltà e sul suo declino il punto critico di svolta, di fronte a un fenomeno di favor mortis tramutato in tendenza normativa, seppur circoscritta ai Paesi Bassi, che batte sugli argini come un torrente, che influenza l’opinione sul giusto e l’ingiusto per innesco di una legge erosiva, che incoraggia le prassi "disinvolte", che include episodicamente nelle ragioni suicide (rammentano recenti cronache) il fallimento di un’operazione chirurgica, la depressione, la durezza d’un carcere.

Nei giorni in cui nel mondo le bandiere della morte mostrano la forza crudele di quella che Fromm descrisse come anatomia della distruttività umana, la parola "umana" riferita alla civiltà riaccende per disperata speranza il desiderio di un amore alla vita che ne ritrovi il senso proprio a fronte della fragilità, della debolezza, del limite.È questo dono che ci fa vivere e poi morire "umanamente" se la vita umana è più che il bios, è più d’un corpo tramutato in scarto.Com’è povera la gestione della morte come testamento su una "cosa" che non vale più nulla. In realtà la morte è umana perchè vale la vita, perchè è la soglia del mistero dell’Oltre, e ogni uomo lo sa e dimenticarlo è sventura. La fede vi aggiunge ancora che da quel grembo oscuro si approda alla Vita.

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