Il congedo finale della Messa: una dimissione che è missione
martedì 26 maggio 2020

Caro direttore,

leggo su “Avvenire” del 23 maggio l’articolo di Leonardi «La forza che la Messa sa accendere nei cristiani» nel quale si ricorda che la Messa prende nome da una delle parole conclusive del rito latino. A me sembra interessante spendere due parole sull’argomento. Le parole sono “ ite missa est” che letteralmente significano “è stata mandata”. Questo ci ricorda che anticamente al termine della celebrazione si mandava l’Eucarestia ai malati ed ai carcerati per la fede e che i fedeli venivano congedati dopo che, appunto, l’Eucaristia era stata mandata. Col tempo, quando il popolo non parlava più latino quel “missa est” fu interpretato come “la Messa è finita”. Posso dire che da buon (spero) milanese e come tale ambrosiano preferisco il congedo ambrosiano “ Procedamus cum pace – in nomine Christi” cioè “andiamo in pace, nel nome di Cristo”?

Nicolò Vitali, Milano (Mi)

Molto belle, caro amico, queste sue brevi e dense considerazioni sul bel commento di don Mauro Leonardi. Se “missa” sia verbo (secondo la traduzione che lei adotta, come gli studiosi contemporanei) o sostantivo, è questione sulla quale sin dal primo millennio cristiano si sono offerte interpretazioni differenti. Non sono un esperto, e mi limito a dire che amo molto il legame che l’esortazione post–sinodale Sacramentum caritatis di Benedetto XVI crea esplicitamente tra la dimissione, cioè il congedo alla fine della celebrazione, e la missione che è elemento costitutivo della vita del popolo di Dio. Un mandato che papa Francesco, sin dall’Evangelii gaudium, continua a proporci in modo altrettanto esplicito. E l’impegno per non far mancare a nessuno il Pane consacrato è parte integrante di questa missione.

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