martedì 6 gennaio 2015
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Bene ha fatto il governo a ritirare il decreto di riforma fiscale che conteneva la depenalizzazione delle frodi fino al 3% dell’imponibile, tornando a promettere «stangate per i furbi». E non solo perché poteva indirettamente costituire un “condono” ad personam per Silvio Berlusconi, condannato in via definitiva giustappunto per quel reato. Ma perché l’intera norma appare mal congegnata. Da qualunque angolatura la si guardi, infatti, una tale depenalizzazione non appare orientata a favorire il bene comune. E, come una cipolla, quanto più se ne sfogliano gli aspetti tanto più vien da lacrimare.Il primo, si diceva, è la questione giudiziario-politica che coinvolge l’ex presidente del Consiglio: quale sarebbe l’interesse popolare a vedere cancellata una sentenza confermata fino al terzo grado? Con il rischio, da un lato, di delegittimare l’azione giudiziaria e, dall’altro, di confermare il sospetto che, di fronte alla legge, c’è chi è comunque più uguale degli altri.Il secondo riguarda più in generale il tema della depenalizzazione di una frode. Un conto infatti sono gli errori materiali nella dichiarazione dei redditi e nei bilanci societari. Un conto sono il mancato rispetto dei termini di pagamento o persino l’omissione di una fattura. Tutt’altro è la «frode» che presuppone una volontà precisa, un dolo scientemente eseguito. Qual è la coerenza e la credibilità di uno Stato che da una parte sollecita i cittadini a chiedere la ricevuta fiscale al proprio barbiere – affinchè questo non evada – e poi ammette in “modica quantità” la frode? Certo rimane la (accresciuta) sanzione amministrativa, ma è appunto come dire che “un poco”’ si può comunque truffare lo Stato (e quindi la comunità intera) senza commettere reato penale.Il terzo aspetto riguarda l’entità prevista per la depenalizzazione, in percentuale sull’imponibile. Il 3% non solo è di per sé una quota elevata, ma senza un tetto in cifra fissa diventa enorme, inimmaginabile sui redditi più elevati e sui bilanci societari più ricchi, come dire 3 milioni su 100 di imponibile. Questo nel Paese in cui da 18 anni la soglia oltre la quale un familiare non è più considerato fiscalmente a carico è ferma a 2.840,51 euro e non è stata neppure adeguata all’inflazione.Ancora, c’è il nodo politico della paternità della norma. Ma, per noi, una questione fondamentale viene prima di ogni altra considerazione. La delega di riforma fiscale deve essere lo strumento per rendere giustizia e aiutare finalmente le famiglie. Tutto il resto rischia di essere frode.
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