Il brutto autogol sportivo d'una politica autoreferenziale
mercoledì 7 agosto 2019

Lo sport è un diritto, purtroppo non sancito esplicitamente dalla nostra Costituzione in cui il termine specifico “sport” non è contemplato in nessuno degli articoli. Residuato, probabilmente, del Ventennio fascista, in cui lo sport venne strumentalizzato diventando una delle «attività di regime» che condizionarono, non poco, la vita anche agonistica degli italiani, campioni e no. Ma seppure non esplicitamente richiamato dalla Carta scritta dai padri fondatori della Repubblica, non possiamo assistere a cuor leggero a una politica che s’insignorisce di una sfera come quella sportiva, che è già dotata di norme, regolamenti e di apparati federali, spesso più qualificati e affidabili di diversi ambiti governativi.

«Fate uscire la politica dagli stadi», era lo slogan in voga dall’alba della Seconda Repubblica a oggi. Un messaggio in bottiglia che purtroppo si è inabissato, ma che adesso torna a galla con questo scontro da “ultimo stadio” tra Governo e Coni. Ente, quest’ultimo, che da sempre, cioè dalla fondazione che risale a prima della Grande Guerra, 1914, non sarà un modello perfetto di gestione (non esistono dei modelli perfetti in tal senso, specie in Italia) della “cosa pubblica” sportiva, però è comunque un’istituzione che ha avuto e ha senso e peso specifico. Soprattutto ha un valore che va oltre i confini nazionali e si connette (e risponde) al Cio internazionale.

Ora il varo da parte del Governo gialloverde di una presunta “riforma salvasport” non solo sconquassa e mette in discussione una tradizione ultracentenaria, ma pone l’Italia olimpica nel ruolo scomodo di chi gioca fuori dai canoni e dai regolamenti internazionali. Nessuno dei 205 Paesi che aderiscono al Cio (per numero di Stati è più “abitato” dell’Onu) subisce un “controllo specifico” degli enti che compongono il rispettivo comitato nazionale pari a quello che si annuncia nei confronti del Coni. Se davvero la legge ne azzerasse gli statuti, il Coni finirebbe inesorabilmente in fuorigioco perché non rispetterebbe più quella Carta Olimpica che è il documento di adesione e di condivisione universale con tutti gli altri Paesi membri del Cio. Nel Paese in mano ai difensori del «prima l’Italia » e «prima gli italiani» anche lo sport dovrebbe rispondere a un’organizzazione autarchica che rimanderebbe, in maniera drammatica e preoccupante, ai tempi del fascismo. È palese che si tratta di uno scontro provocato da “ultrà” (quindi dai nemici dello sport) e che potrebbe avere sanzioni correlate che ci potrebbero costare un “Daspo olimpico”. Cosa che può lasciare indifferente chi è abituato a discutere con gli ultrà, a frequentare gli stessi bar sport e le stesse discoteche, ma tutti coloro che hanno a cuore la salute reale dello sport italiano aprano gli occhi e aguzzino le orecchie. È tempo di lanciare l’ennesimo Sos: “La politica resti fuori dallo sport”. Nelle quattro pagine recapitate dal Cio internazionale al presidente del Coni Giovanni Malagò, sta scritto che l’ingerenza del Governo con la sua legge potrebbe far scattare la «sospensione temporanea». L’Italia, che non è solo una Repubblica fondata sul pallone come pensano molti dei nostri governanti-ultrà, ai Giochi di Tokyo 2020 potrebbe non essere rappresentata dai propri presidenti federali. In caso di sospensione internazionale niente tricolore alla cerimonia d’apertura o da esibire sul podio e niente inno di Mameli. Un Paese di 60 milioni di abitanti con quasi 5milioni di tesserati Coni si presenterebbe ai Giochi giapponesi del prossimo anno come la Micronesia e le altre dello “Ioa” (Indipendent olympic athlets). Storie da Kuwait e India che hanno già sperimentato una simile punizione. E tutto questo perché da noi la politica, non paga di creare dissesti quotidiani (spesso con danni permanenti) in quasi ogni settore, ha deciso di destabilizzare anche il nazionalpopolare mondo dello sport. Il Governo che fino a ieri si è fregiato del «grande successo » ottenuto per la conquista delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026, ora rischia di mettere a rischio anche l’organizzazione di quell’evento arrivato dopo la delusione dei mancati Giochi estivi di Roma 2020. In quel caso a sbarrare il passo a Malagò fu il Movimento 5 Stelle e la sindaca della Capitale Virginia Raggi, ora scende in campo anche la Lega con Giancarlo Giorgetti, il sottosegretario con delega allo Sport.

Il fatto che lo sport sia affidato a una semplice “delega” la dice lunga sulla questione, in cui lo scontro da politico trascende sul personale, sul ricatto partigiano e sulle minacce. Al momento però l’unica minaccia di cui tenere conto è quella del Cio che ci aveva già avvisati alla fine di giugno (incontro tra il premier Conte e il presidente Cio Bach), perché quella legge intra moenia, all’italiana non va. E a chi ci governa, anche lo sport ricorda una volta di più, che viviamo in un mondo globale, multirazziale e fatto di leggi e di orizzonti universali, eticamente e sportivamente parlando: olimpici.

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