martedì 2 settembre 2014
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Eccole le strade e le autostrade di fine estate.  Affollate, sature, intasate, dipende dalle ore. A guardarle ci sono (così ci assicurano) occhi elettronici dalla vista lunga. Eppure chi le percorre non ha l’impressione di essere sorvegliato. E sarà anche per questo che si ritrova circondato da un mare di violazioni.  Chi scrive, non fosse che per ragioni anagrafiche, guida tranquillo. E in questi giorni di rientri vede ciò che negli ultimi anni (e decenni) ha sempre visto, ma che ancora si stupisce di vedere: rifiuto delle regole, rigetto del codice, negazione della disciplina stradale. I limiti di velocità sono rispettati da esigue minoranze e infranti da impunite maggioranze. Hanno un bel comparire sulle autostrade scritte luminose come: «Non berti la vita. Pensa a tuo figlio», ma qualcuno le considera, qualcuno ne prende minimamente atto? Si corre, si va, si dà gas. È la festa del bullismo. È la sagra della prepotenza.  Esistono prima, seconda, terza corsia, e tu dici: il traffico si dividerà per tre. Neanche per idea. Sulla prima corsia, anche quando, nelle domeniche e nelle altre feste comandate, non circolano i mezzi pesanti, nessuno vuole andare. Dice (impone!?) il codice della strada di occupare sempre la corsia libera alla propria destra, ma la prima corsia è ritenuta evidentemente disonorevole, sicché si viaggia in seconda pronti a saltare fra i “tarantolati” della terza. E si sa: assegnata ai sorpassi, la terza è terra di sprinter, di velocisti tesi non a guidare, ma a inseguire, tallonare, asfissiare chi sta davanti. Dopodiché impudenza, arroganza, maleducazione, incoscienza diventano protagoniste dei nostri asfalti lasciando l’impressione che tutto ciò che di peggio lamentiamo nei comportamenti di casa nostra vada a prender posto dietro il volante di un suv poderoso o di un bolide da duecento all’ora, sul manubrio di una supermoto.  Ero in Austria, giorni fa, e chissà se gli austriaci guidano sempre così, ma a me sono apparsi delicati e lievi. Ogni popolo ha certamente il suo carattere e io non so dire se su di noi pesino più che su altri le frustrazioni del vivere. Non so nemmeno che cosa mi possano suggerire in merito psicologia e sociologia, so che vedo sempre più auto e moto guidate da irresponsabili talvolta anche certamente non sobri, alterati, prede di sostanze. Per combattere questa piaga non si fa molto perché, ci viene detto, non si può far molto: mancano gli uomini, i mezzi, i quattrini. Gli autovelox? Ma se i navigatori ne forniscono le mappe a che servono gli autovelox? Ed è logico, è legale, è morale che le forniscano? Le statistiche, è vero, dicono che l’anno scorso, rispetto al 2012, ci sono state meno vittime (-6,9% i morti, -2% i feriti) e tutti, allora, a ritenere che si cammini sulla strada giusta. Ma meno vittime vuol dire che i morti (calcolati fino al trentesimo giorno dopo l’incidente) sono stati 3.400, i feriti, 259.500. Sono pochi? La domanda rimane: cosa si può fare? Molto, sulla carta. Là dove, come in Inghilterra si è preso il toro per le corna (non si possono mai superare, neanche in autostrada, i 112 km. orari e a chi, ubriaco, provoca un sinistro, sono rifilati 14 anni di carcere), gli incidenti si sono dimezzati. In Francia e Spagna il codice della strada è considerevolmente più severo del nostro. Molto si può fare, se si vuole. In attesa che lo si voglia, sperando che lo si voglia, noi ne parliamo: chi è quell’automobilista che giorni fa ha ucciso due bambini? E chi sono i tanti pirati della strada di questi ultimi anni? Gli è stata almeno ritirata la patente in modo da non ritrovarseli ancora in giro? Sì, bisogna parlarne, non stancarsi di farlo. Certo che quanto avviene oggi nel mondo, la montagna di guai e disastri, di guerre e carneficine e delitti, consiglierebbe non la follia della strada, non l’insensatezza al volante, ma riflessione e moderazione, ragionamento e coscienza. Da aggiungere, va da sé, a un’onesta valutazione del proprio status di guidatori, spesso fortunato e comunque in partenza sempre migliore della condizione di chi al mondo delle due o quattro ruote, per mille ragioni, non può avere accesso.
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