venerdì 30 marzo 2012
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Il tempo scandisce l’amministrazione della Giustizia nel senso che impone scansioni minime e massime per le attività. Tutti hanno presente che il superamento di determinati periodi di tempo comporta la prescrizione dei diritti e dei reati o la usucapione di diritti reali, con la conseguente estinzione di quelli precedenti. Non sempre si ha presente invece che sono richiesti anche tempi minimi per lo svolgimento delle attività processuali. In sintesi il tempo dei giudizi deve essere breve ma non troppo. Nell’attuale situazione italiana però prevale di gran lunga il problema opposto, quello di un’esasperante lentezza dei procedimenti. La Convenzione europea dei diritti dell’Uomo prevede che i processi abbiano una durata ragionevole. La ragionevole durata era stata indicata dalla Corte di Strasburgo in due anni e sei mesi fra l’inizio e la sentenza di primo grado. I ricorsi contro l’Italia per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo erano così numerosi che la stessa Corte di Strasburgo non riusciva più a pronunziare entro quei termini. A seguito delle pressioni internazionali, l’Italia ha previsto un risarcimento interno allo Stato. I procedimenti internazionali contro l’Italia sono diminuiti, ma i ricorsi alle Corti d’appello nazionali sono così numerosi che tali Corti non riescono più a deciderli tempestivamente, sicché sono iniziati i ricorsi per la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo per la precedente violazione del diritto alla ragionevole durata di un altro procedimento. È evidente che, a parte il costo crescente conseguente alle condanne dello Stato a risarcire i danni, il sistema può implodere.
A parte questo, il tempo ha un effetto devastante sui procedimenti giudiziari, che non è solo rappresentato dalla prescrizione in sede penale, ma dall’affievolirsi della memoria dei testimoni, dall’alterazione dello stato dei luoghi e delle cose, dal senso di insoddisfazione delle vittime e così via. È necessario quindi ridurre la durata dei processi e per far ciò è necessario diminuire drasticamente il numero dei procedimenti, sia civili che penali. A fronte della gravità della situazione c’è chi invoca invece un consistente aumento delle risorse da destinare all’amministrazione giudiziaria. Ma non è vero che il sistema giudiziario italiano abbia a disposizione risorse modeste: la spesa per la giustizia in Italia si colloca nella fascia alta degli Stati europei: circa agli stessi livelli della Gran Bretagna. Non vi è quindi un problema di aumento di risorse (anche perché è un’illusione pensare che possano essere incrementate), ma, se mai, di razionalizzazione dell’impiego delle risorse stesse, posto che è esperienza quotidiana che negli uffici giudiziari manchi quasi sempre l’essenziale. In secondo luogo, non è vero che il numero dei giudici di professione in Italia sia insufficiente. Tale numero è in linea con quello di uno Stato per certi versi simile come la Francia: in Italia 6.109 (pari a 10,2 ogni 100.000 abitanti); in Francia 5.819 (9,1 ogni 100.000 abitanti). Le vere anomalie italiane sono rappresentate dalle dimensioni del contenzioso e dal numero degli avvocati. Quanto al primo aspetto, le sopravvenienze civili annue contenziose di primo grado per ogni giudice in Italia sono 438,06, in Francia 224,15, in Germania 54,86. Le sopravvenienze penali annue di reati gravi per ogni giudice in Italia sono 190,71, in Francia 80,92, in Germania 42,11. Il secondo aspetto, quello relativo al numero di avvocati per ogni giudice di professione, è in costante peggioramento posto che è salito a 32,4. Fra l’altro, questo dato implica che oggi in Italia ogni giudice, con il suo lavoro, deve consentire di vivere ad oltre 32 avvocati. Il che sfata l’idea che i magistrati italiani lavorino poco! Il numero degli avvocati va poi valutato alla luce del fatto che ogni anno questo aumenta di 15.000 unità, il risultato e che tale numero potrebbe stabilizzarsi intorno a 600.000 avvocati. Come può il sistema Italia competere sul mercato globalizzato quando, ad esempio, il Giappone, con il doppio della popolazione rispetto a quella italiana, conta circa 20.000 avvocati? Ma il caso più eclatante di sperpero di risorse e di irragionevolezza e rappresentato dai procedimenti a carico di imputati irreperibili.
I procedimenti di impugnazione nelle sentenze contumaciali vengono reiterati, prima su appello e ricorso del difensore (che di solito è pagato dallo Stato) e poi su appello e ricorso dell’imputato (più volte se vi sono più imputati). È difficile individuare per un simile spreco di denaro e di energie un fine diverso da quello di contribuire con denaro pubblico al reddito degli avvocati. Infine, il sistema di prescrizione vigente in Italia fa sì che questa decorra non solo dopo l’esercizio dell’azione penale, ma anche dopo la condanna in primo grado, quando ad impugnare è l’imputato condannato, il che è ragione sufficiente per indurre ad appellare. Una normativa simile non vi è in nessun altro Paese occidentale, ad eccezione della Grecia. Forse è venuto il momento di affrontare i problemi veri del sistema giudiziario italiano, anzitutto provando a capirne le cause, e poi cercando soluzioni che possano ridare efficienza ed efficacia al sistema giudiziario.
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