giovedì 16 gennaio 2014
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La storia dei due neonati scambiati nell’ospedale di Galatina (Lecce) è finita come si sperava, con i due bambini consegnati alle rispettive madri, ma le lettrici pensano: "Oh mio Dio!, e se lo scambio resta per sempre? Cosa succede, quando un bambino cresce in un’altra famiglia?". Rispondiamo, a queste madri. Non c’è dubbio che se qui, a Galatina, fosse stata scambiata una bambina con un’altra bambina, o un maschietto con un maschietto, le madri non se ne sarebbero mai accorte. E allora? E allora ciascuna avrebbe cresciuto, credendolo suo, un figlio non suo. Solo qualche evento che richiedesse l’esame del dna avrebbe potuto, negli anni futuri, svelare l’errore. Ma noi, ordinary people, noi, gente comune, passiamo tutta la vita senza bisogno di conoscere il nostro dna. Questa scambiabilità dei neonati mostra una cosa: che è carica di affetto, speranze, attese, l’ansia con cui noi parenti ci accalchiamo intorno alla culla di un neonato, per rispondere all’eterna domanda: chi rinasce in questo bambino? Il padre? Il padre del padre? O il padre della madre? Ci diamo sempre una risposta. Ma è una ricerca sbagliata. In realtà i bambini cambiano aspetto continuamente, per decenni. È su questo che contano i ladri di bambini. Se il bambino rubato sta nascosto per qualche anno, i legami con i genitori si perdono. E se saltano fuori più tardi? Se scopri che un bambino, cresciuto con altri, è tuo figlio, ma ormai ha vent’anni, che fai? Che fa?È a questa domanda che vorrei rispondere. Raccontando una storia vera. E cercando, in conclusione, di ricavarne una morale. È una storia antica, ma resa attuale dal fatto che il protagonista, il poeta argentino Juan Gelman, molto noto in tutto il Sudamerica, è morto l’altro ieri, ed è probabile che oggi i giornali del mondo rievochino la sua vicenda. Su questo giornale fu trattata il 27 settembre 2003 da Alessandro Zaccuri, quando Gelman vinse il premio Lerici Pea. Gelman era un oppositore del regime militare argentino, e viveva in esilio, qui da noi. Per vendetta, la polizia arrestò suo figlio e la compagna. Il figlio fu ucciso subito, la compagna, incinta, si aspettò che partorisse. Del bambino o bambina non trapelò mai niente. Il nonno andò alla ricerca per lunghissimo tempo. Poeta, scrisse per il nipote, mai visto, dei versi che girarono per il mondo, e arrivarono anche in Italia. Me li ricordo ancora: «Ti cerco, nipote, / per scoprire in te / quel che resta di mio figlio, / ti cerco, nipote, / perché tu scopra in me / quel che resta di tuo padre: / ambedue siamo orfani della stessa persona». Mi ha colpito la parola "orfani". Il figlio è certamente "orfano", perché ha perso il padre, ma il padre e il nonno non sono "orfani", perché hanno perso il figlio-nipote, e la lingua (la lingua umana, di qualsiasi popolo) non ha creato la parola per dire il lutto del padre-nonno che perde un figlio-nipote, perché dire è un modo di accettare, e questo lutto non si può accettare, con questo lutto non si può vivere. In Argentina, Cile, Uruguay (i Paesi dove operava la feroce organizzazione poliziesca "Condor") i regimi cambiarono, Gelman sapeva che il o la nipote doveva essere in Uruguay, e quando in Uruguay salì al potere un presidente non più collaborazionista, fu possibile scoprire chi era il/la nipote, dov’era, in quale famiglia viveva. Fu organizzato un incontro.L’incontro è il clou della storia. Il nipote era "una" nipote: rubata ai genitori appena nata, cresciuta con genitori con i quali non aveva nessun legame di parentela ma che (si seppe subito) la amavano, adesso doveva scegliere: il sangue o l’amore. La bambina, ormai ragazza, scelse l’amore, la famiglia dov’era. Ma il nonno tornò a casa felice, perché la nipote era felice. Mi piace immaginare un’aggiunta: il nonno che torna ogni tanto a trovare la nipotina. Perché la storia costruisce nuove vite, ma non annulla mai la prima. I bambini si sentono figli delle famiglie in cui vivono. Di chi li ama, li cura, li guarisce, li premia, li rimprovera. La paternità non è un attimo, è una vita. Se s’interrompe, va ricostruita. Per fortuna, qui a Lecce, non s’è mai interrotta. Gelman è morto l’altro ieri. Tra tutti i saluti che riceverà, i più dolci saranno quelli della nipote Claudia.
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