martedì 13 ottobre 2015
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Chi uccide un bambino, uccide il mondo. L’abbiamo sentito dire molte volte, ma non ce ne diamo per intesi. Succede ancora, succede sempre, succede in tanti modi diversi. Tutti terribili. Come ogni altra guerra contro l’umanità, che gli esseri umani si sono ingegnati a combattere in maniera orrenda tacitando la propria coscienza con ingiustificabili giustificazioni o accecanti deliri. Scriverne è duro dovere, da onorare perché non si può smettere di far crescere quella consapevolezza del male da sconfiggere che sa generare il rifiuto delle brutalità, comunque si tenti di ammantarla e di nobilitarla. Ci sono però orrori quasi inaccostabili. Che è straziante non solo descrivere, ma anche soltanto pensare. L’uccisione premeditata e sistematica di bambini, che sono non somme di vite, ma il tesoro stesso della vita, è il pensiero di una realtà con artigli e zanne, che non dà pace a chi ne è assalito.Chi uccide un bambino, uccide il mondo. A Rio de Janeiro da troppi anni c’è chi pensa, agisce e vive come se questa fosse una logica azione di polizia, anzi di "pulizia" urbana. E ora l’Onu, attraverso il rapporto di un suo Comitato per i diritti dell’infanzia, denuncia che gli uomini della polizia brasiliana per rendere più sicura e vivibile la metropoli che ospiterà le Olimpiadi 2016 (che si celebreranno tra appena dieci mesi) hanno ridato forza e virulenza forse mai vista all’insopportabile incubo delle mattanze dei meninos da rua. Per pulire anzi – testuale – per «ripulire» la città simbolo del grande Paese sudamericano si uccidono su due piedi, sommariamente, ragazzini "colpevoli" di vivere per strada, di non avere famiglia, di essere potenziali delinquenti. Bambini spezzati e spazzati via, perché soli, poverissimi e contagiati dalla miseria nera prima ancora che dal crimine.La "caccia" per le strade dei quartieri residenziali e fin dentro le favelas dei meninos, come i lettori di questo giornale sanno purtroppo bene, non è una novità. Le denunce di operatori e comitati per i diritti umani si moltiplicano da troppi anni sostenute dalla voce accorata e forte della Chiesa brasiliana, in prima linea, nel cercare di arginare esecuzioni e autentiche stragi. Ma è una novità la certificazione da parte delle Nazioni Unite dell’algida e feroce motivazione «d’ordine» di questo misfatto compiuto e ricompiuto da tutori della legge in una grande democrazia.Il mondo, quel mondo che muore ogni volta che un bambino viene ucciso, ha aperto gli occhi. E adesso non può richiuderli. La strada verso le Olimpiadi 2016 non può essere lavata col sangue di piccoli massacrati «per sicurezza». Ci chiediamo chi avrà il coraggio di gareggiare sapendo che il prezzo della festa è una tragedia, che non si doveva vedere, che non si doveva sapere, e che ora, invece, è violentemente e definitivamente evidente. Ce lo chiediamo davvero. E vorremmo che se lo chiedessero sino in fondo, senza esitazioni, tutti gli sportivi e ogni cittadino di ogni Paese di questa nostra terra. E fossero capaci di risposta.Le Olimpiadi delle origini imponevano la pace agli eserciti in guerra. O le quarte Olimpiadi del terzo millennio dopo Cristo sapranno non solo sospendere, ma far finire una volta per tutte la mattanza dei meninos da rua brasiliani o è meglio che gli atleti se ne restino a casa. A casa, per partecipare a una gara di solidarietà e di giustizia alla quale ci si qualifica soltanto dimostrandosi donne e uomini di coscienza. Perché è vero, verissimo: chi uccide i bambini, sempre, ovunque, in qualsiasi modo e per qualunque ragione, uccide il mondo.
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