venerdì 31 gennaio 2014
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Si addensano, in queste ore convulse per le istituzioni repubblicane, acute e giustificate preoccupazioni, conseguenza inevitabile di quanto è accaduto – e purtroppo sta ancora accadendo – nelle aule e perfino negli uffici parlamentari. Ma di quanto avviene sotto i nostri occhi, a tratti increduli, si impone anche una lettura, la più fredda e razionale possibile, per decifrare il senso politico di queste stesse vicende, soprattutto da parte di chi ha responsabilità di guida, ambizione di leadership o speranza di veder affermare proposte alternative per l’immediato futuro.Di turbolenze e di veri e propri scontri, anche fisici, sono sufficientemente ricche le cronache di Montecitorio e di Palazzo Madama da ormai quasi settant’anni, e cioè dal primo voto popolare liberamente espresso il 2 giugno 1946. Forse l’unica novità effettiva è la teorizzazione, da parte degli esponenti grillini, di un presunto, quanto inesistente, “diritto” alla reazione contro le supposte forzature regolamentari altrui, da esercitare direttamente sul “campo di battaglia”, con tattiche da guerriglia che culminano nell’occupazione di spazi riservati al lavoro legislativo, per causarne infine la paralisi.Ma la conquista di banchi e poltrone, in un sistema che ripudia la violenza come mezzo di confronto democratico, può derivare solo dal numero dei voti raccolto nelle elezioni e dalla conseguente collocazione all’interno o fuori della maggioranza che si forma in base ai consensi espressi nelle urne. Tutto ciò che esula da questa regola aurea appartiene ad altre e lontane epoche. Ed è bene che resti relegato in quel passato che non vogliamo si riaffacci mai più.Va da sé che la risposta a certe pretese giustizialiste va esercitata nei limiti delle medesime regole, escludendo quindi gesti di ritorsione esasperata e, a maggior ragione, atti di giustizia sommaria: anche la logica della “spada di Brenno” va lasciata ai libri di storia. L’esigenza di autocontrollo, anzi, è in qualche modo direttamente proporzionale al grado di responsabilità che si ricopre. E anche di fronte a strappi violenti e inconsulti, è necessario che si sappia dare all’opinione pubblica la possibilità di giudicare chi sta realmente andando oltre i limiti e chi invece fa di tutto per rispettarli.In questo senso, si dimostra esemplare la reazione all’insegna della massima sobrietà e della correttezza istituzionale di Giorgio Napolitano, di fronte all’avvio della procedura di messa in stato di accusa contro di lui da parte dei grillini: «Faccia il suo corso» ha commentato il presidente. La ragione è ovvia: per quanto infondata e probabilmente velleitaria, si tratta di un’iniziativa giuridicamente legittima e democraticamente praticabile, disciplinata con cura e infine già sperimentata. Semmai, la coincidenza temporale con la deriva estremista assunta dai proponenti in altre sedi parlamentari finisce, paradossalmente, per dimostrare proprio la strumentalità di certe loro azioni. Perché se il sistema contempla perfino la possibilità di “incolpare” la più alta carica della Repubblica, che bisogno c’è di “dichiarare guerra” con mezzi illegittimi e squalificanti?In realtà, la posta in gioco di questa escalation ha una chiara valenza politica. Non è certo per caso che proprio oggi, quando è atteso l’inizio delle votazioni sulla riforma elettorale, si annunci una delle rare visite a Roma di Beppe Grillo, che ieri si è fatto precedere dall’evocazione grottesca di una nuova Resistenza. Il leader del raggruppamento che l’anno scorso ha marcato la principale novità delle ultime elezioni, raccogliendo circa un quarto dei voti, si rende conto forse che il processo riformatore delle istituzioni, oltre che delle regole elettorali, questa volta si sta davvero mettendo in moto. E che di conseguenza presto potrebbe venirgli a mancare uno dei principali argomenti polemici del suo arsenale: l’inconcludenza dei partiti tradizionali.A questo punto, per M5S si profila un bivio cruciale. La prima strada è quella di battersi contro le innovazioni che ritiene nefaste con tutti i mezzi leciti a sua disposizione, restando quindi nei binari della dialettica democratica. La seconda è di insistere nella scelta di rompere ogni argine, magari consapevole di non poterla spuntare, ma con la speranza che la massima visibilità a colpi di bagarre riesca a far dimenticare un anno di insignificanza e quasi di nullismo politico. L’auspicio è che compia la prima scelta. In caso contrario, che le forze politiche e i vertici istituzionali sappiano tenere i nervi saldi, evitando di cadere in stolte provocazioni.
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