Gratitudine e solidarietà
venerdì 24 luglio 2020

È qualcosa che sembra non appartenere ai nostri tempi. Ma ad altri, remoti. A Gallarate, 53 mila abitanti, nel Varesotto, le dieci parrocchie della città hanno deciso che faranno un voto, pubblico, per ringraziare della guarigione dal Covid-19; e perché il ringraziamento sia concreto verrà aperta una casa per senzatetto, con il contributo dei fedeli. Dieci letti, per chi non ne ha nessuno (ne riferiamo nelle pagine di cronaca lombarda).

Sì, sembra una cosa d’altri tempi (anche se poi non così strana in un’Italia dove tanti sanno ancora coniugare gratitudine e solidarietà). Càpita a volte, nelle campagne italiane e non solo, di imbattersi in una piccola antica chiesa, su cui una lapide in latino ricorda: "per grazia ricevuta" dopo una pestilenza, o una carestia infine superata. Su quelle lapidi i caratteri sono smussati dal tempo, dal gelo di centinaia di inverni, da evi di pioggia. E anche la data della posa, in cifre latine, ci appare così lontana: "Anno Domini.." Remoto poi ci appare in verità spesso anche il moto di fede e gratitudine con cui un popolo decideva di erigere, dopo un’epidemia, un luogo dedicato alla Madonna, o a un santo. Perché noi uomini del Terzo millennio sappiamo che le malattie le cura la scienza, e riteniamo ingenuità di secoli bui quella che, del cessato pericolo, ringraziava Dio. E invece in questo Anno Domini 2020, da una città lombarda prospera e avanzata, a pochi chilometri da Milano, l’annuncio: faremo un voto. «La pandemia – dice il parroco autore dell’iniziativa – ha messo duramente alla prova la nostra fede e allora vogliamo rivolgerci a Dio chiedendo la grazia della guarigione, mettendo davanti a lui le cose che abbiamo perso, ma anche quelle che abbiamo salvato, i valori che ci hanno tenuto a galla, impegnandoci in un gesto di carità concreta e duratura».

Un simile voto, i Gallaratesi lo fecero già nel 1630, dopo il passaggio mortifero della peste. Lo faranno di nuovo il 12 settembre prossimo, davanti alla Vergine nel Santuario di Madonna in Campagna. Fossimo passati da quelle parti solo un anno fa, davanti alla lapide avremmo pensato a Manzoni e a Renzo e Lucia, e quella memoria ci sarebbe apparsa dolorosa ma troppo distante da noi, dalle nostre certezze, per poterla fino in fondo comprendere. Ma, oggi? Oggi che ricordiamo i giorni della paura, quando il contagio cresceva vertiginosamente, e i letti e i respiratori negli ospedali mancavano, e un virus sconosciuto annientava ogni certezza su "diritto alla salute" e aspettativa di vita garantita?

Oggi, quando sappiamo che in certi drammatici momenti i medici in alcune corsie hanno dovuto scegliere di curare chi aveva più possibilità di salvarsi – ed è cosa, questa, di cui la nostra generazione non ha memoria, se non dai film sulle trincee delle guerre mondiali? Oggi che abbiamo visto la morte passare così vicina, quel voto secentesco non ci pare più così altro da noi e ingenuo. Il gesto delle parrocchie di Gallarate sembra allora il segno di una presa di coscienza, all’interno dell’ampio bacino della Grande Milano. Coscienza che non siamo padroni della nostra vita, che siamo nelle mani di un Altro, che siamo figli: di un Dio, che questo nostro tempo rinnega. E già è molto. Che, poi, la gratitudine e la domanda di una comunità cristiana si esprimano in solidarietà, in una casa per gli ultimi, è ancora più bello.

Perché è un fare che si colloca nella tradizione del sorgere della carità, quella che costruì i primi ospedali e asili per poveri nel Medioevo. Perché, come ci ripete il Vangelo, l’«ultimo» è figura di Cristo, e quindi dare un tetto agli ultimi è dare un tetto a Dio fra noi. Ciò che voleva fare Etty Hillesum, giovane ebrea morta ad Auschwitz, nel campo di raccolta olandese di Westerbork: cercare un tetto a Dio, scriveva nelle sue Lettere. Un tetto magari grande solo come il cuore di un uomo. Dio cerca una casa fra noi. E allora la casa per i clochard di Gallarate è almeno il segno di qualcosa di buono che questo buio inverno ci ha lasciato. Di qualcosa in cui, forse minimamente, questo inverno ci ha cambiato.

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