sabato 26 maggio 2012
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​Caro direttore,
leggo la sua risposta di venerdì 25 maggio sui fischi al presidente Monti in visita ai terremotati della mia Regione. Sono sicuramente d’accordo che i fischi (come abbiamo già più volte visto) sono esternazioni di pochi e di solito (dico io) anche pilotati. Sono invece molto poco d’accordo su alcune scelte di questo governo di tecnici in quanto ci sarebbero molte spese da controllare, molte Regioni che spendono e spandono. Le tasse sono davvero arrivate a livelli insostenibili e la gente che prende uno stipendio come me ed è già tartassata (ho tre figli studenti), paga inoltre su tutto ciò che acquista Iva e tasse varie (gasolio e benzina: com’è che le associazioni dei consumatori si scagliano sempre e solo con i petrolieri? E lo Stato? È quello che maggiormente incassa anche in questo caso...). Mi sembra che le riforme difficili (e qui bisogna pur dirlo che ci sono partiti, associazioni e sindacati che si mettono sempre di traverso e non si viene a capo di niente) alla fine non vengono mai fatte o vengono fatte come si fa di solito in Italia, cioè mozzandole della parte che veramente conta (vedi riforma del lavoro). Io, da semplice persona che lavora, capisco benissimo che a volte è meglio licenziare uno o due che non fanno il loro dovere che chiudere un’azienda…  E poi ci sono i proclami: «Arrivano i soldi alle imprese per la crisi!». Ma le imprese sarebbe meglio aiutarle semplificando, togliendo un mucchio di impicci e balzelli, favorendo il credito. Questo per dirle che credo davvero che questo governo potrebbe fare molto di più e molto meglio.
Caterina Carafa - Castel Guelfo (Bo)
Si dice che «il meglio è nemico del bene», cara signora Carafa. E c’è del vero. Ma c’è del vero anche nelle sue preoccupazioni. Preoccupazioni che richiamano la sfida decisiva che sta davanti agli italiani e agli europei: riuscire a mantenere i conti degli Stati in ordine (rigore) senza strangolare le economie in difficoltà che avrebbero bisogno, e proprio in questo momento, di un forte impulso anche attraverso l’iniziativa pubblica (crescita). Preoccupazioni che investono il "governo dei tecnici", ma – come lei scrive – anche le Regioni e la pletora di soggetti che «si mettono sempre di traverso» quando c’è da produrre cambiamenti impegnativi e seri. Questi soggetti sono gli interlocutori politici e sociali ineliminabili di un governo che ha caratteristiche straordinarie, ma non poteri straordinari e assoluti (deve rendere conto al Parlamento e concordare misure e scelte con altre realtà istituzionali, a cominciare ancora dalle Regioni). Un governo che è forte, grazie alla credibilità e affidabilità personale del premier sulla scena interna e internazionale oltre che per la indubbia qualità di figure di spicco della squadra ministeriale, ma – ricordiamocelo – che ha avuto la forza per incidere seriamente (e anche pesantemente) su pensioni, fisco e altri settori cruciali solo e soltanto per la drammatica condizione in cui versava il nostro Paese al momento del suo insediamento. Penso anch’io che ci sia molto lavoro da fare e da creare, molta equità da realizzare, molta spesa da revisionare e sanare e – soprattutto – indirizzare come si deve, e anche le questioni da lei indicate sono a pieno titolo nella lista delle urgenze. Scoprire che ci sono problemi irrisolti e resistenze interessate e miopi è banale (non penso a lei, lo dico a scanso di equivoci) e imputarli a chi governa da più o meno sei mesi è strampalato. Spingere perché si proceda, senza rinunciare a proporre obiezioni sensate (e anche noi facciamo la nostra parte) è giusto e doveroso. Quando si è in un guado – il presidente della Cei lo ha ricordato proprio ieri – bisogna uscirne in avanti.
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