martedì 12 ottobre 2010
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Caro direttore,giustizia e istruzione sono due capisaldi della società umana, ma anche due onerosi temi da tempo sul tavolo del Governo e motivo di preoccupazione per milioni di persone. Rivedere i due temi con un unico colpo d’occhio può essere interessante e stabilire un vaso comunicante forse può essere anche vantaggioso. La giustizia certo la vorremmo tutti celere, ma per questo ci deve essere proporzionalità tra la macchina dei Tribunali e il numero di processi da portare a termine. Se le cause sono troppe è necessario aumentare la capacità di lavoro dei Tribunali che comporta un aumento dei costi non possibile in mancanza di fondi. La via di rendere più snelle le procedure giudiziarie per velocizzare la macchina ha i connotati della scorciatoia con un aumento della possibilità di errore. È come se il professore, per smaltire la coda degli studenti in attesa di esame, si accontentasse di fare una domanda allo studente anziché 3-4 per accertare il suo grado di preparazione. Il rischio di sbagliare la valutazione è molto più elevato. D’altra parte una giustizia che evada il suo compito in 10-20 anni diventa praticamente inutile e il lavoro di pur eminenti e raffinati giuristi viene sprecato con tutte le risorse necessarie per produrlo.Guardando ora al versante istruzione e ai tanti precari a spasso, non possiamo nasconderci che, da anni ormai, la scuola è stata usata per offrire occupazione e ora è purtroppo evidente un eccesso di personale (lo dicono anche i rapporti tra il numero di allievi e quello dei professori). Siccome le valutazioni sulla qualità del nostro insegnamento non ci vedono in testa alla classifica, la spesa che lo Stato fa ogni anno di 8.000 euro per allievo appare più come uno spreco che un investimento. Così siamo arrivati alla stagione dei tagli. E da qui nasce un’idea: visto e considerato che il personale in eccesso nella scuola è in maggioranza personale qualificato, laureato, con familiarità con l’informatica, di età medio-bassa, motivato a lavorare con i giovani dei quali conosce fragilità e virtù: perché non impegnarlo sul fronte giustizia dove manca tanto personale?Molti giuristi e forse ancora più togati sorrideranno o si inalbereranno per questa idea di "conversione" dei professori, ma anche da chi amministra la giustizia sarebbe probabilmente opportuno un nuovo  atteggiamento verso aiuti per così dire "esterni", dato che non è cosa rara che i magistrati si lancino a prescrivere qualche terapia anticancro (caso Di Bella), esigano la previsione dei terremoti (come a L’Aquila), dicano quando si deve nascere o morire e come si devono avere i figli...Impegnare il buon senso e l’equilibrio dei laureati in esubero nella scuola che hanno alle spalle anni di esperienza in campo educativo per operare nei Tribunali mi sembra molto meglio che produrre sentenze a tempo scaduto...

Valter Boero, Università di Torino

Non le nascondo, gentile professore, di aver pensato in un primo momento che la sua lettera fosse un divertissement o, meglio, una mera provocazione intellettuale. E questo pur sapendo del suo costante e concreto impegno civile. Ma leggendo il testo che ci ha inviato (e che ho dovuto abbreviare un po’...) mi sono presto reso conto che invece il suo discorso era assolutamente serio, il che – ovvio – non esclude affatto che lei abbia soprattutto voluto gettare un sasso nello stagno dello "status quo" di servizi pubblici decisivi per valutare il reale grado di civiltà di un Paese. Giustizia e pubblica istruzione sono, infatti, servizi che dovrebbero essere sinonimo di efficienza e di qualità. E che in Italia regalano confortanti esempi positivi e importanti figure di riferimento eppure, troppe volte, risultano schiacciati sulla loro immagine peggiore o colpiti da virus di discutibili e rischiose «creatività» o confinati nello scomodo recinto dei più deludenti risultati "di sistema" (si pensi solo ai tempi insopportabili di buona parte dei processi o a certi sconfortanti rapporti periodici sulla preparazione degli studenti).Detto questo, se lei pensasse davvero a "riciclare" i professori in esubero in qualità di pubblici ministeri e di giudici, francamente la vedrei dura, anzi durissima: non ci si improvvisa magistrati, e una laurea – anche in materie giuridiche – non è certo un requisito sufficiente… Se, invece, come credo, immagina un utilizzo di intelligenze, competenze ed esperienze maturate nella scuola in robusta funzione ausiliaria di quelle giudiziarie di sorveglianza e inquirenti o giudicanti, allora la sua idea-sasso nello stagno può costituire un ben azzeccato stimolo a riflessioni non banali e a decisioni utili.Comunque sia, caro professor Boero, la cosa che trovo più interessante e convincente nel suo approccio è la sottolineatura, indiretta, di uno dei grandi difetti dell’apparato pubblico italiano: la cattiva – a volte davvero pessima – distribuzione delle risorse umane e la conseguente inefficienza strutturale e mortificazione di professionalità (e sensibilità) che da questo inesorabilmente deriva. È uno dei problemi che non possiamo più permetterci di ignorare: proprio perché le amministrazioni pubbliche non devono essere solo dei «postifici», ma vanno considerate e gestite come essenziali ed efficaci strutture di servizio.
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