mercoledì 3 settembre 2014
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Cara Giulia,mi permetto di scriverti una lettera. Sai, chi come me scrive poesie non ha paura di metterci la faccia e di immischiarsi con la realtà. Non ci conosciamo, chi sa se mai ci incontreremo, ma vorrei riuscire lo stesso a raggiungerti direttamente. Non mi interessa tirarti da una parte o dall’altra della faziosità politica. Le tue parole mi hanno colpito. E non per la dose di violenza, di sfogo – come troppi le hanno bollate o magnificate – ma per la dose d’amore. Per la dose smisurata d’amore. Questa dose smisurata è uno spettacolo. È il più bello spettacolo di questa estate tutta intera. Più di ogni sole, più di ogni luna sul mare, di ogni concerto. Tu sei stata il vero grande segno, il grande spettacolo (pieno di sofferenza e di dignità, pieno di sorpresa e di forza) di questo tempo.Non è retorica. Ho una figlia, giovane come te, vedo cosa è il legame che voi figlie il più delle volte avete coi padri. Immagino cosa possa essere per una figlia non vedere così a lungo il padre, e sapere che stia male, lontano. Non è giusto. Non è giusto per niente. Fai bene a gridare di volerlo vicino. Continua a gridarlo, a pregare se preghi, a chiederlo in tutti i modi. Nessuno ha il diritto di dirti "abbassa la voce", "abbassa i toni". C’è un poeta che ha scritto che l’amore prorompe più in alto, va più in là, se lo spinge anche l’ira. Questo poeta ora è un santo, cioè un esempio, si chiama Giovanni Paolo II. La tua ira spinga l’amore. Sia l’ira a spingere l’amore, e non viceversa. Se metti l’amore per così dire dietro, se lo fai arretrare, insomma, se rovesci le cose e fai in modo che l’amore resti indietro e avanzi invece l’ira, beh, non avrai ottenuto nulla di nuovo. Sarai uguale a quelli che per ira non lo lasciano tornare, tuo padre, uguale a quelli che per una strana, bastarda ira verso la nostra stessa patria pensano che non è grave lasciare laggiù due dei nostri. Diventerai uguale ai carcerieri. Sono parole dure, lo so, ma sei di una pasta di ragazze che non ha paura delle parole forti.Potrei cavarmela con qualche salamelecco, ma vorrebbe dire che non ti stimo. Sono stato a Trivandrum, tempo fa, in quella città dell’India dove li hanno tenuti, prima di questo maledetto pasticcio. Non è un gran posto. C’era un festival di poesia e ho incontrato gente gentile che di certo non avrebbe voluto tutto questo. Io non mi intendo di diritto internazionale, ma la situazione in cui ci troviamo è stata anche il frutto di una grande debolezza italiana. Ora abbiamo il ministro degli Esteri Ue, vediamo di che cosa sarà capace. Ma anche tu hai un compito grande, ora che sei un personaggio pubblico. E stai capendo che non è facile, ci sono insidie, finti amici. Volevo solo dirti una cosa: l’amore che si trasforma in rabbia perde se stesso. Diventa altro dolore, altra durezza. Diventa la stessa maschera che vorrebbe combattere. La tua rabbia insofferente verso l’ipocrisia di tanti è salutare. Hai dato un colpo. Ma non odiare mai per amore.È dura, lo so bene. Spesso si fa l’errore di opporre due cose buone. Accogliere un migrante – spesso padri in cerca di dignità maggiore per i figli – non è meglio o peggio che riportare tuo padre da te. Hai ragione: spesso pensiamo di fare il bene semplicemente facendo le cose più comode. Dire solo: "Accogliamoli, poverini" è facile e non tiene conto di tante conseguenze. Ma non succede solo questo, oggi in Italia. Non si accoglie e basta, si salva da morte e si guarda in faccia chi arriva, per capire che cosa lo muove e che cosa per lui prevede quella stessa legge internazionale che imporrebbe di riportare a casa tuo padre. Non la si fa facile, insomma. E comunque l’atteggiamento banale di qualcuno o di tanti non è mai giustificazione per l’odio. Non odiare mai. Ama ancora così tuo padre, ne ha bisogno lui e tutti noi. Conta su di me, per quel che posso.
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