Gettar via il tritacarne
giovedì 23 dicembre 2021

Tanti continuano a interrogarsi, anche dopo che Mario Draghi ha parlato ieri nella conferenza stampa di fine anno, su che cosa voglia fare il presidente del Consiglio nel 2022: se spostarsi sul Colle più alto o se rimanere a Palazzo Chigi. E praticamente tutti ci stiamo esercitando nel soppesare le parole e frasi usate dal premier, come aruspici intenti a osservare possibili prodigi e a cercare rivelazioni. Di questo passo, si può rischiare però di perdere di vista il messaggio di fondo che Draghi ha voluto consegnare ieri al Paese: che non riguarda le possibili aspirazioni personali di un «nonno al servizio delle istituzioni», ma il fatto che davanti a noi c’è un intenso programma da sviluppare per un Paese ancora stretto dall’emergenza

Covid. «Missione compiuta? Lo dice lei», ha risposto Draghi, a un certo punto, all’ennesima domanda quirinalizia. Non si tratta solo – e già sarebbe compito immane – di gestire e tentar di domare soprattutto (ma non esclusivamente) con l’arma dei vaccini (ben usata in Italia) una pandemia in mutazione, come dimostra l’affannosa ricerca di nuove misure di contenimento in tutta Europa. Rimane in piedi anche la sfida «di far aumentare la crescita di lungo periodo» (che tornerebbe a soffrire in presenza di nuove restrizioni) e «di risolvere le debolezze strutturali della nostra economia, a partire dalle diseguaglianze geografiche di genere e generazionali».

Rimangono le esigenze di sviluppare in chiave nazionale il Piano di ripresa europeo, dopo aver creato nel 2021 le «condizioni» per andare avanti, e di mantenere la flessione del debito pubblico. E rimangono altre emergenze croniche come (anche dopo il varo dell’assegno unico) il crollo della natalità , l’applicazione delle misure per contrastare le troppe morti sul lavoro e i piani per migliorare per tutti le condizioni di vita e di lavoro perché «non c’è vera crescita senza coesione sociale e se si lasciano indietro i poveri».

Un vasto programma, che impone la presenza di un governo autorevole e quanto più possibile compatto nonostante la tentazione di agitare le 'bandierine' di partito tipica delle fasi di grande coalizione. Il mondo della politica deve avere perciò la saggezza di affrontare a gennaio l’elezione del nuovo capo dello Stato senza provocare divisioni che – ha voluto ricordare Draghi – avrebbero ripercussioni dirette su Palazzo Chigi. Né può permettersi il 'lusso' di un anno intero di campagna elettorale, in attesa del 2023. L’unica soluzione sensata del rebus Quirinale è quella che non fa buttar via il lavoro fatto sinora e invece getta via il tritacarne delle chiacchiere e degli agguati. Dove il premier non può e non deve finire.

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