Riaccordare i princìpi, rifare comunità
giovedì 23 gennaio 2020

Libertà, eguaglianza e fraternità non sono solo i tre ideali a cui si è ispirata la Rivoluzione francese ma sono anche i cardini di una convivenza civile equilibrata e generativa ispirata ai princìpi evangelici. Per uno strano scherzo del destino la storia politica e del pensiero moderna e contemporanea ha confinato la fraternità nel privato e in sacrestia mentre ha sviluppato e contrapposto tra loro in politica e in società i principi di libertà ed eguaglianza, i primi sostenuti dal pensiero liberale e i secondi da quello socialista.

Le scienze sociali e il dibattito politico si sono così quasi naturalmente concentrati nello spazio LibLab che è quello dove l’individuo considerato isolatamente e slegato dai suoi legami esiste ed è preso in considerazione soprattutto come consumatore, risparmiatore, lavoratore, contribuente, utente di servizi di welfare e il suo "benessere" promosso attraverso l’azione di Stato e mercato. L’ipertrofia dello spazio LibLab nel quale pensiero liberale e pensiero socialista si sono dati battaglia ha progressivamente ridotto lo spazio della comunità e della fraternità (che mette al centro il nostro essere genitori, figli, amici, membri di un’associazione e di una altro tipo di gruppo) a una dimensione sempre più limitata e sacrificata.

Il mondo LibLab va in crisi nel momento in cui crede di aver vinto dopo la caduta del Muro di Berlino decantando le magnifiche sorti progressive della globalizzazione e del progresso tecnologico. Non solo perché non si accorge delle diseguaglianze crescenti all’interno dei Paesi e del fatto che ceti medi, classi più deboli, abitanti delle periferie si sentono ai margini del processo. Ma anche perché l’ipertrofia dello spazio LibLab riduce ai minimi termini la dimensione della comunità e confina in questa riserva indiana la fraternità mettendo in crisi l’identità della persona che ha bisogno di questi fondamentali ingredienti.
L’uomo è nesso di relazioni e cercatore di senso prima di essere consumatore, risparmiatore, lavoratore, contribuente e utente di servizi di welfare. Il populismo è il primo a comprendere le radici di questo disagio ed è abile a proporre una risposta semplice, ma sbagliata: offre un recupero di identità, radici e tradizioni attraverso il conflitto e il nazionalismo e alimenta la sua risposta attraverso una semina di odio in rete. Si tratta ovviamente di una risposta paradossale alla patologia, che non cura la malattia perché il populismo non crea comunità, ma le distrugge.

La risposta corretta a questa sfida è, bisogna finalmente rendersene conto, quella dell’economia civile.

Che muove da un’intuizione: la sfida della diseguaglianza non si può vincere se si pensa a un laburismo rinnovato e riverniciato alla Corbin oppure si intende confinare ancora la fraternità nel ghetto della dimensione privatistica di uno spazio comunitario sempre più ristretto. La risposta, che rilancia e non solo difende, sta nell’inoculare i germi della fraternità nel mercato per cambiarlo profondamente dall’interno. Sono nate così, dal basso, dall’esigenza di superare l’asfissia di generatività dell’approccio lib lab, in modo quasi spontaneo da minoranze illuminate e, esse sì, generative di cittadini e imprenditori, le rivoluzioni del voto col portafoglio, del consumo responsabile, della banca e della finanza etica, dei fondi d’investimento responsabili che oggi stanno diventando il nuovo mainstream.

Non bastano proposte economiche ragionevoli in termini redistributivi per vincere la sfida contro il populismo. Bisogna andare alla radice della crisi identitaria proponendo una nuova visione dove lo Stato si fa levatore delle energie della società civile e mette in campo misure di stimolo e incentivo che favoriscano la ricostruzione di legami affettivi e comunitari e la fecondazione dello spazio tradizionale LibLab (consumo, risparmio, fisco, welfare) con i princìpi della cittadinanza attiva e della fraternità. E un welfare generativo dove il cittadino non sia visto come utente e terminale passivo di trasferimenti monetari, ma attivato e reso protagonista e nuovamente capace di contribuire alla società. Gli ultimi decenni di esperimenti in economia comportamentale spiegano chiaramente i meccanismi per i quali libertà ed eguaglianza senza fraternità non funzionano.

La vita è fatta di dilemmi sociali, ovvero di incontri dove asimmetrie informative e contratti che non possono coprire tutte le contingenze creano le condizioni per il fallimento della collaborazione tra umani e dunque per risultati sociali ed economici subottimali. È questo che Amartya Sen ha in mente quando chiama l’homo oeconomicus «idiota sociale». Solo i meccanismi 'intelligenti' del dono che attivano circuiti di reciprocità creano relazioni salde che sono a loro volta deterrente a tradimenti della fiducia. Generando dunque squadre e comunità forti e coese in azienda e in società. Tutte le forze politiche devono divenire consapevoli di questa visione di fondo. Se lo saranno e se sapranno comunicarlo con efficacia sarà poi non particolarmente difficile mettere in campo tutta una serie di iniziative e soluzioni di policy capaci di rispondere allo smarrimento e alla crisi identitaria e di senso dell’uomo contemporaneo vincendo la tentazione di una risposta facile, disordinata e demagogica alla crisi.

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