martedì 29 marzo 2016
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F iat lux: è forse il più noto tra i comandi presenti nel racconto della Creazione. Il sogno di sconfiggere le tenebre notturne, comune a tanti popoli e culture, per migliaia di anni ha avuto soluzioni povere e rischiose, ma spesso cariche di significati simbolici. La lucerna che interrompe l’idillio tra Amore e Psiche denuncia la pretesa di conoscere il mistero profondo della persona amata. La lampada di Aladino è la previsione di una energia nascosta che gli uomini faticheranno a dominare. La lanterna con la quale Diogene 'cerca l’uomo' in pieno giorno dichiara la difficoltà di trovare una umanità vera al di là delle apparenze. Ancora è presente, nelle liturgie cristiane, il simbolismo positivo della luce fornita dalla cera d’api. Ma oggi lo sfolgorio di luce che segna la superficie terrestre vista dallo spazio ha perso il valore di simbolo. La troppa luce urbana impedisce di vedere il cielo stellato. I costi ambientali poi sono diventati troppo alti. Ce lo ricordano quelli che ogni tanto ci invitano a 'spegnere il mondo': tutto il contrario dell’iniziale «Fiat lux». E le montagne? Non è qui lo spreco. L’uso dei lumini a olio (di terracotta o di metallo) è durato nelle case contadine fino a metà Novecento. Durante l’ultima guerra sono state trasformate in lucerne sia le scatolette di sardine portoghesi sia le bottigliette (dal vetro robusto) di 'magnesia calcinata'. Contro il vento, le lanterne sono state fornite di telaio e pareti trasparenti. Una lanterna cilindrica ha un prominente occhio di vetro: non sparge molta luce ma fa individuare il portatore. Sulle Alpi si è inventata la lampada a bastoncini di conifera ( Spanleuchter in tedesco). Sugli Appennini faceva da torcia una corteccia arrotolata di ciliegio selvatico. Alla fine dell’Ottocento si sono diffuse le lampade a petrolio, di costruzione americana o tedesca. Dalle miniere arrivano quelle ad acetilene; in uno degli esemplari più primitivi l’acqua dovrebbe entrare in modo automatico a contatto col carburo di calcio: non infrequenti gli scoppi. La nostra Val di Vara non ha conosciuto l’illuminazione a gas. Nel 1910 arriva a Varese Ligure una piccola centrale. È posta nel Borgo e sfrutta l’acqua di caduta di un 'beudo' (un canale alimentato in alto dal fiume), già al servizio di un mulino e di una fabbrica di pasta. Una centrale Locatelli nasce in un borgo più a valle. Da lì viene il tecnico assoldato da Felice Garibotti, costruttore di mulini e fabbricante di abbozzi di 'radica' per le pipe a San Pietro Vara. La centralina, costata venticinquemila lire, viene inaugurata il 29 giugno 1924. «La prima lampadina da mille candele brilla in chiesa in onore dei santi Pietro e Paolo e fino a Natale la luce è gratis», come scrive il Garibotti in una nota autobiografica. La Compagnia Elettrica Ligure, entrata in attività nel 1928, stende le linee principali anche sui monti. Le famiglie isolate non solo pagano l’allaccio, ma devono anche installare a loro spese i pali. Frequente in passato lo spettacolo degli operai che scalano i pali incrociando le 'staffe' puntute legate agli scarponi per stendere i fili e gli isolanti in porcellana. Gli ultimi allacciamenti, negli anni 70 del Novecento, sono stati facilitati dal bisogno di collegare reti contigue, per una riparazione più veloce dei guasti. Questa storia non sarebbe completa se non ricordassimo che il comando biblico «Fiat lux» ha fatto brillare per anni i simboli di una nota casa automobilistica. Nel 1901 l’acronimo di Fabbrica Italiana Automobili Torino sovrasta un sole splendente. Tre anni dopo il sole sta dietro l’acronimo. Non risulta siano stati pagati diritti d’autore. © RIPRODUZIONE RISERVATA coltivare e custodire
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