venerdì 1 gennaio 2016
Quella famiglia con due papà e la mamma cancellata nell'allegro spot della compagnia americana non è altro che un modo per diseducare un popolo, passando dai bambini.  (Umberto Folena)
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Non tutte le famiglie sono uguali. Ce ne sono di grandi, di piccole, di impossibili da misurare». Quant’è allegro lo spot Disney che augura «Buone feste dalla famiglia Frozen». Scorrono come lampi le immagini, da vedere ma senza pensarci sopra perché sono velocissime e il tempo manca: famiglie e gruppi di amici, umani e animali, pupazzi di neve e, a 11 secondi (su 57), un frame con due papà e un bambino. Fossero almeno due, i figli, per rinvigorire il tasso di natalità, verrebbe da dire celiando. Ma uno spot, anche il più lieve e veloce, è sempre una cosa seria. E allora, senza celia, vien da pensare: ma la mamma che ha dato alla luce quel figlio dov’è? In qualche Paese povero e contare i dollari dell’affitto dell’utero, ricevuto dai ricchi e grassi occidentali?Tremendamente seria è la pubblicità, come già ci ammoniva Vance Packard nel 1957 (I persuasori occulti): «Sono all’opera su vasta scala forze che si propongono, e spesso con successi sbalorditivi, di convogliare le nostre abitudini inconsce, le nostre preferenze di consumatori, i nostri meccanismi mentali, ricorrendo a metodi presi a prestito dalla psichiatria e dalle scienze sociali». Nel suo accumulare con rapidissime frame famiglie etero, di ogni razza e colore, con due genitori maschi, la Disney cucina il minestrone packardiano perfetto. La persuasione è perseguita per accostamento e assonanza, senza lasciare tempo e spazio al pensiero critico. Sarà un caso di «colonizzazione ideologica», come spiegava un anno fa papa Francesco dialogando in aereo con i giornalisti di ritorno dalle Filippine? «Colonizzano un popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura».Forse è così. O forse, più banalmente, è moda. Ficcare un po’ dappertutto la «famiglia gay» fa tendenza ed esimersene è pericoloso, specialmente nel mondo dello spettacolo. Così la Disney si adegua. Come cantava Giorgio Gaber nell’anno di disgrazia 1978: «Quando è moda è moda», per quanto sia omissivo, stupido e arrogante. Lo spettacolo aveva un titolo che sarebbe piaciuto a Packard: "Polli d’allevamento". Nello spot Disney i polli sono pulcini, e d’altronde è Francesco ad avvertire: «Passare per i bambini è la strada più veloce per entrare nel cuore di un popolo».
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