domenica 4 settembre 2011
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Caro direttore,nel ringraziarla per il suo ficcante appello a una svolta fiscale ("Se non ora quando?") lanciato con l’editoriale del 1° settembre, vorrei condividere con lei la sconvolgente esperienza vissuta lo scorso anno acquistando casa a Roma, città in cui vivo. Sono un dipendente (dunque, volente o nolente, pago le tasse) e col mio stipendio viviamo in cinque (sono sposato e ho tre figli piccoli). In sede di rogito sono stato posto sia dal venditore che dalla agenzia immobiliare che mi aveva trovato l’appartamento (peraltro una delle maggiori del nostro Paese) di fronte a un bivio odioso: pagare in contanti una parte della somma pattuita, ricorrendo a una serie di prelievi bancari scaglionati nel tempo – oltremodo umilianti – e a qualche prestito da familiari, evitando di denunciare gli importi esatti e ottenendo un significativo sconto, oppure denunciare la somma effettiva, facendomi in qualche modo carico io delle loro tasse. Non le nascondo che ho ceduto. Del resto eravamo giunti a quel passo mettendo in gioco tutti i nostri risparmi e anche qualcosa in più, e non potevo permettermi di pagare neppure un euro in aggiunta a quanto avevo racimolato. Discorso analogo anche per il carrozziere a cui ho portato la mia auto (incidentata, ahimè, proprio alla vigilia del rogito) e che mi ha posto di fronte al medesimo assurdo bivio: 100 con fattura oppure 80 senza? Altra musica, invece, per i lavori di ristrutturazione cui abbiamo sottoposto la casa appena acquistata: la possibilità di recuperare (seppure in 10 anni), scaricandola dal 730, una parte significativa delle fatture presentate alla fine dei lavori, ha messo il manico del coltello in mano a me. «Vuoi lavorare in casa mia? – ho potuto dire a muratori, imbianchini, fabbri ed elettricisti – Allora devi farmi regolare fattura». Così è stato, e a luglio di quest’anno il congruo rimborso Irpef che ho trovato in busta paga mi ha permesso di pagare quelle due settimane di vacanza che altrimenti, con questi chiari di luna, difficilmente avrei fatto. Forse le mie sono considerazioni che lasciano il tempo che trovano… o forse invece sono l’ennesima conferma che l’unica via davvero percorribile, al di là di idealistiche battaglie contro i mulini a vento, è rendere la prassi doverosa per legge anche effettivamente conveniente per chi paga. Mi conceda un’ultima battuta: col sistema fiscale francese con moglie e tre figli a carico forse mi sarei persino potuto permettere di rispondere al venditore, all’agente immobiliare e al carrozziere, quello che si sarebbero meritati in un Paese civile, o quanto meno civicamente educato. Ma questa fiscalmente non è la Francia, e nemmeno l’America…

Stefano, Roma

Grazie, caro signor Stefano (capisco e rispetto la richiesta di firmare a metà la sua franca testimonianza). Ai nostri governanti e parlamentari basterebbe vivere un po’ di più la vita della gente normale per capire che non bisognerebbe, poi, inventare chissacché per imprimere una «svolta» al mortificante tran tran dell’evasione fiscale (attiva e passiva) che io ho evocato e che lei descrive così bene. Siamo d’accordo: l’occasione e l’urgenza di cambiare ci sono e sono evidenti. Qualcosa di importante sta tornando a muoversi, rafforzando l’azione che in questi anni è stata avviata anche con successi non trascurabili. Purtroppo, però, si va ancora nella direzione del contrasto puro (e del contrasto tra concittadini, quale altro senso se non questo ha, per esempio, la pubblicità delle dichiarazioni dei redditi?) e non anche di quel contrasto di interessi, che si fa "premio" ai contribuenti onesti. Ma io ci spero: arriveremo a un "modello Italia" anti-evasione sensato e  convincente. È interesse di tutti, ma proprio di tutti, anche di chi non l’ha ancora capito.

Marco Tarquinio

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