martedì 15 maggio 2012
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La sonora sconfitta del partito della cancelliera tedesca Angela Merkel nel maggiore land del Paese e la situazione di pericoloso stallo politico in Grecia hanno fornito ai mercati una formidabile occasione per accanirsi sui mali europei, sulla fragilità della sua classe dirigente e sui limiti evidenti della struttura che sorregge l’euro. Niente di nuovo, si dirà: che la Cdu perdesse in Nordreno-Westfalia era dato per scontato, anche se non nelle proporzioni con cui si è poi configurata la sconfitta del partito fautore del rigore in Europa; e di possibilità che la Grecia possa uscire dall’euro si parla da mesi, da ben prima che Atene diventasse di fatto ingovernabile dopo le elezioni di settimana scorsa. Dove sta il problema, allora? Perché i mercati – o la speculazione, come la si preferisce chiamare quando il segno davanti ai valori quotati diventa negativo – ieri hanno fatto schizzare gli spread di Italia e Spagna e affossato le Borse? Le ragioni di questo, purtroppo, continuano a essere le solite da tempo: l’Unione è un continente politico ingovernato (e ingovernabile), nel quale la sovranità dei singoli Paesi non ha ceduto nulla, o quasi, a favore di una guida capace di guardare all’Europa nel suo insieme, nell’interesse di tutti e non solamente di qualcuno, per non dire del più forte. È su questa base instabile e traballante che il duo Merkel-Sarkozy, per rispondere esclusivamente ai rispettivi elettorati, ha potuto far sì che la Grecia andasse lentamente alla deriva, imponendo a tutti i Paesi con livello di debito più critici una ricetta del rigore fine a se stesso capace di trascinare nel baratro l’economia dell’intero continente. Fedele cartina di tornasole di questa condizione strutturale è la moneta dell’Eurozona: concepita per essere irrevocabile, in realtà molti leader europei sempre più spesso trovano utile affermare, quando si tratta di doversi dare una spolverata di pubblico rigorismo, che dall’euro si può tranquillamente uscire se non se ne rispettano le regole. Nelle ultime ore lo hanno fatto ancora, abbastanza imprudentemente, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble e il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso. Un gioco al massacro dalla memoria corta. Da quando la tempesta del debito pubblico si è abbattuta sull’Europa, diversi governi hanno dovuto pagare, in un modo o nell’altro, seppure per responsabilità diverse, il loro tributo alla "dittatura degli spread", cedendo il passo (in genere al partito fino a quel momento all’opposizione o a "tecnici"): è accaduto in Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia, Grecia. Finito il giro dei cosiddetti "Piigs", analoga sorte è toccata alla Francia, con l’uscita di scena di Sarkozy e la vittoria del socialista François Hollande, mentre ora in difficoltà appaiono i governi in carica in Olanda e, dopo il voto di domenica, in Germania. È possibile che i terremoti politici più recenti stiano facendo maturare in Europa una maggiore sensibilità verso la necessità di politiche per la crescita, oltre al dovere della disciplina di bilancio. Ma è altrettanto realistico pensare che le antiche posizioni, a Berlino come ad Atene, possano invece ulteriormente irrigidirsi. E poi in un processo di questo tipo non è mai facile definire con chiarezza dove arrivi la pressione dei mercati e dove invece incominci la volontà dei popoli e, soprattutto, come questa possa incanalarsi in un percorso virtuoso invece che produrre derive populiste e disgreganti. La realtà è che l’Europa sta implodendo a causa del suo essere fragile e ondivaga nella ricerca di soluzioni alla propria crisi, più appesa ai problemi elettorali interni di singoli Paesi, o di singole regioni, che salda nelle convinzioni di un modello di sviluppo condiviso e comune. Senza la categoria della solidarietà, si potrebbe ricordare, il principio di sussidiarietà sul quale si fonda la libertà europea non può che trasformarsi in un’esaltazione dell’egoismo, come sta avvenendo. È in questa preoccupazione che va individuata la prima riforma necessaria. Più del rigore e della crescita.
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