Europa e Africa, è tempo di tornare a vedere e dire
sabato 6 luglio 2019

Le contraddizioni della politica estera europea nei confronti dell’Africa sono evidentissime. In cima all’agenda delle cancellerie del Vecchio Continente c’è sempre la mobilità umana. Quando si tratta, però, di alzare la voce nei confronti di regimi totalitari come quello del presidente eritreo Isaias Afewerki, un po’ tutti fanno orecchie da mercante. Questo signore, come i lettori di 'Avvenire' sono tra i pochi a sapere, ha ordinato un paio di settimane fa la chiusura di 22 centri sanitari gestiti dalla Chiesa Cattolica.

All’alba del 12 giugno scorso, infatti, polizia e militari, per ordine del governo di Asmara, guidato da 26 anni dal leader del 'Fronte popolare per la democrazia e la giustizia', hanno messo alla porta pazienti, medici e infermieri. I vescovi eritrei, il giorno successivo, hanno espresso 'profonda amarezza' per quanto accaduto, in una lettera recapitata al ministro della Salute: «Un fatto che non riusciamo a comprendere né nei suoi contenuti, né nei suoi modi. In alcuni centri i soldati sono stati visti intimidire il personale a servizio delle nostre cliniche, costringere i pazienti a evacuare i locali. In altri casi hanno perfino circondato e sorvegliato le case dei religiosi. Come è possibile che questi fatti si verifichino in uno Stato di diritto? ». La Chiesa cattolica eritrea, si è comunque dichiarata «aperta e disponibile al dialogo e alla mutua comprensione».

Nel frattempo, duole doverlo scrivere, non risulta affatto che dal pulpito della politica europea si siano levate voci per condannare un simile misfatto. Stiamo parlando di un Paese africano, peraltro, da cui sono arrivati in questi anni, molti dei migranti richiedenti asilo che hanno tentato, a volte con successo, altre volte perdendo la vita, di sbarcare sulle nostre coste. Da rilevare che l’Unione Europea ha concesso recentemente al regime di Asmara 20 milioni di euro per la manutenzione di strade in cui saranno impiegati anche molti giovani militari. Obbligatorio per uomini e donne tra i 18 e i 50 anni e oltre, il servizio nazionale di leva, con paghe irrisorie e trattamenti inumani, ha fatto di questo Paese una sorta di Sparta africana. In diversi documenti dell’Onu, questo tipo di servizio militare viene definito «lavoro forzato» e rappresenta la causa principale per cui da decenni centinaia di migliaia di persone tentano la fuga dall’Eritrea, molti dei quali giovanissimi, impauriti dall’approssimarsi dell’età per la leva obbligatoria. La denuncia più forte è venuta dalla Fondazione per i diritti umani degli eritrei (Foundation Human Rights for Eritreans, Fhre), organizzazione della diaspora in Olanda. Lo stanziamento europeo grava sui fondi di emergenza per l’Africa (Emergency Trust Fund for Africa, Etfa), che dovrebbero servire, tra le altre cose, a fermare le migrazioni promuovendo l’offerta lavorativa nel continente africano. In questo caso specifico, sostenendo un regime dittatoriale paragonabile a quello della Corea del Nord.

E cosa dire del Sudan? Con l’uscita di scena del presidente-padrone Omar Hassan el Beshir, da quasi tre mesi è al potere, a Khartum, il Consiglio militare di transizione ( Tmc) che ha precluso alla società civile di affermare l’agognato cambiamento democratico. È di queste ore la notizia di un accordo politico tra le parti in vista delle prossime elezioni, che prevede la creazione di un Consiglio sovrano congiunto per guidare il processo di transizione. La prudenza è d’obbligo, non foss’altro perché ai vertici delle gerarchie militari spicca ancora il nome di Mohamed Hamdan Dagalo 'Hemedti', finora vicepresidente del Tmc, leader indiscusso delle milizie Janjaweed, tristemente note per i crimini commessi nel Darfur.

Come mai i leader europei, tranne alcune lodevoli eccezioni, fanno finta di niente, omettendo nei loro discorsi sulla questione migratoria – purtroppo permanentemente 'elettorali' – le responsabilità di certi regimi militari per lo sradicamento e la fuga di tanti dalla propria terra? Anche perché i militari sudanesi di cui stiamo parlando, dall’uscita di scena di Bashir, sono stati foraggiati dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti per un totale di tre miliardi di dollari. Una cosa è certa, insomma: l’Unione Europea deve uscire dal letargo, in un frangente della storia, il nostro, in cui vengono spesso misconosciuti i valori fondanti del diritto internazionale, nonché i diritti dell’uomo e dei popoli.

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