mercoledì 17 febbraio 2010
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Caro direttore,il tema della presenza dei cattolici del Pd richiede ben altro approfondimento di una breve replica a un articolo. Non posso tuttavia non rispondere al ragionamento che Sergio Soave ha sviluppato martedì 16 febbraio sulle pagine di Avvenire.Innanzitutto, credo davvero che non mi si possa descrivere come un segretario che ha un atteggiamento di sufficienza sulla questione. Chi ha potuto vedermi lavorare lungo ormai molti anni, non potrà certo accusarmi (credo di poter dire, onorevole Binetti compresa!) di sottovalutare la funzione della cultura cattolica nella vita pubblica del Paese. Il punto è che la costruzione del Pd pretende uno sforzo di convergenza e di mescolanza sul piano del progetto politico. Certamente non potrebbe esistere il Pd senza l’idea di una funzione autonoma e mediatrice della politica, funzione tanto più nobile ed importante quanto più collegata al concetto di limite della politica e di riconoscimento, quindi, del valore profondo delle convinzioni religiose ed etiche.Penso dunque che le adesioni o le defezioni avvengano sul piano delle scelte politiche. Non trovo giusto ad esempio negare in premessa ad una personalità come Emma Bonino, senatrice eletta nelle nostre liste, la capacità di interpretare l’insieme di un programma di coalizione. Così come trovo davvero stucchevole l’idea che si voglia appaltare a qualche altra forza politica la rappresentanza dei valori cattolici, secondo schemi politicisti fatti a tavolino. Distacchi dolorosi dunque, quelli avvenuti, ma che si sono determinati sul piano politico. Non è su questo che può essere messa in discussione la possibilità della cultura e dei politici cattolici di avere un ruolo nella costruzione del Pd. Soave scrive che non è riconosciuta nel Pd pari dignità ai cattolici. Di che cosa si sta parlando? Di posizioni nel partito? Il presidente, il vicesegretario, il capogruppo alla Camera, i responsabili di settori di lavoro crucialissimi come welfare e scuola non sono forse protagonisti di quella cultura? Si parla invece di politiche? Non conosco "derive zapateriste". Conosco un progetto che rivendica la laicità dello Stato legandola strettamente ai nostri principi costituzionali; conosco politiche di merito legate a principi di un umanesimo forte preoccupato della libertà e della dignità dell’uomo, a cominciare da quello debole e abbandonato; un umanesimo capace di misurarsi sui temi cruciali della vita e della morte senza dimenticare tuttavia il cammino dell’esistenza.Mi si permetta di dire che il nodo della questione è un altro. Le culture del Pd non possono vivere da separate in casa. Piaccia o no, non è questo il nostro progetto. Tutte le culture devono via via riconoscersi nei muri portanti della casa comune. Si potrà dire che questo lavoro è ancora all’inizio; ma chi pensache sia un lavoro inutile o impossibile o uno sforzo a cui rinunciare dovrà ricredersi.

Pier Luigi Bersani Segretario del Partito democratico

Ringrazio l’onorevole Bersani per le pacate eppure appassionate argomentazioni di questa sua lettera in risposta all’acuto commento di Sergio Soave e, mi pare di capire, al denso lavoro di indagine e di analisi che ha accompagnato su Avvenire le cronache del disincanto, del disagio e del distanziamento dal Pd di settori e personalità di cultura politica cattolica dopo l’abbraccio tra questo importante partito e la leader radicale Emma Bonino. Con una battuta potrei dire che se il segretario del Partito democratico è in coscienza tranquillo, non saremo certo noi di Avvenire a inquietarci al posto suo e degli altri dirigenti della formazione sognata da Prodi e, poi, fondata da Veltroni... E invece no, non faccio battute. Perché da molti mesi – proprio a partire da alcuni casi di coscienza estremamente significativi e dagli esigui spazi concessi all’esercizio della libertà di coscienza nei gruppi parlamentari dei democratici – stiamo osservando con rinnovati interesse e attenzione lo svilupparsi del progetto politico generato dalla fusione dei Ds e della Margherita. Interesse e attenzione al tema della libertà di coscienza (e dunque di "cittadinanza") nel Pd che stranamente ci è toccato di coltivare in sostanziale solitudine, e ai quali si è via via sommato un crescente senso di allarme, largamente condiviso – posso testimoniarlo – dai nostri lettori. Da qualche settimana, si è aggiunto il caso Bonino. Che ha ovviamente una natura sua propria, anche per l’incredibile pretesa della superabortista e iperliberista candidata a governatore del Lazio di "rappresentare" addirittura i valori cattolici (e di questo mi occupo pure in penultima pagina, quella dedicata al colloquio coi nostri lettori). Ma il caso Bonino, per le modalità con cui si è manifestato e per il senso politico generale che ha assunto, si sta configurando sempre più anche come un caso Pd. Lei, segretario, ha accettato senza batter ciglio l’autocandidatura della fedelissima compagna di battaglia anticattolica di Marco Pannella e, qui sopra, difende di nuovo la corsa di colei che ha più volte esaltato come «una fuoriclasse», definendo «ingiusto» il giudizio di chi non riconosce a Bonino la «capacità di interpretare un programma di coalizione». Ma il nome e la storia di Emma Bonino "sono" un programma. Un programma, onorevole Bersani, incompatibile con altri (per più di un aspetto anche con quello alla base dell’idea di sinistra che lei punta a rivitalizzare e rappresentare) e, in ogni caso, certamente affinato con aperta e spesso aspra ostilità verso la visione cristiana della vita e dei rapporti sociali. Decidere di fare di un simile contributo un «mattone» del muro della casa comune del Pd significa fare una scelta pesante e precisa. Che, infatti, sta producendo contraccolpi, crepe e lacerazioni. Liberi tutti di valutare gli uni e le altre, a maggior ragione chi le subisce. Noi ci siamo permessi di sottolineare che le sottovalutazioni – le sufficienze, appunto – si pagano. E ne restiamo convinti.

Marco Tarquinio

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