mercoledì 21 marzo 2012
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Oggi ritorna la Giornata interna­zionale contro il razzismo, che provoca a guardare alla qualità delle relazioni sociali in Italia. Il database Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), analizzato ogni anno dal Dossier immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, segnala la persistenza in Italia di condotte discriminatorie determinate da fattori etnici e razziali. Guardando ai dati a disposizione, le segnalazioni relative a eventi discriminazione nel 2011 sono state mille, un numero in crescita di oltre il 30% rispetto all’anno precedente. L’andamento dei casi tra il 2005 e il 2011 mostra che il maggior numero di essi (22,6%) ha riguardato il mondo dei mass media, con un incremento di odio in rete, su internet. Il secondo contesto discriminatorio è stato quello sui posti di lavoro (dall’11,3% al 19,6%), con un pesante aumento di segnalazioni; rimangono stabili quelle nella vita pubblica (slogan politici, aggressioni…), diminuiscono quelle nei servizi pubblici (dal 15 al 10%) e in relazione all’accesso alla casa (dal 8,9% al 6,3%) e si segnalano casi nel mondo della scuola e della sanità. La maggior parte delle vittime è donna (52%), con un’inversione di tendenza rispetto al 2010, regolarmente presente in Italia, mentre solo l’1% è irregolare. Le vittime della discriminazione sono cittadini italiani (30,9%), dell’Europa orientale (24,9%), africani (16,6%) e latinoamericani (13,8%). I dati sulle discriminazioni sono certamente minoritari rispetto al diffuso spirito di solidarietà che contraddistingue molti italiani. Sembra, però, sempre più evidente che la storia culturale, sociale e politica italiana di apertura e di advocacy (cioè di tutela dei più deboli) non è riuscita a neutralizzare del tutto i rischi e le contraddizioni poste da un’immigrazione di massa. I casi di discriminazione registrati nel corso del 2010 segnalano una crescita della paura per la presenza straniera, percepita sempre più come una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza personale. I risultati della quarta indagine sui valori degli italiani nel contesto europeo, realizzata dall’Università Cattolica con il sostegno del Progetto culturale della Cei, confermano le paure e i pregiudizi degli italiani. Se alcuni dati dimostrano il superamento di alcune paure (il 40% ritiene che gli immigrati non portano via il lavoro agli italiani, né per il 46% la vita culturale italiana è indebolita dalla presenza degli stranieri), preoccupante è che per ancora il 64 % degli italiani gli immigrati siano veicolo di criminalità e per il 40% che pesino sul nostro sistema di Welfare; come pure che il 42% degli italiani propenda per l’assimilazione degli immigrati e la non tutela della loro cultura. In dieci anni, si è passati dal 56 al 62% degli italiani che non vorrebbe come vicini di casa i rom, ma piuttosto tossicodipendenti, alcolizzati e carcerati, a dimostrazione di una crescita della percezione del rischio dovuta a campagne, opinioni e politiche discriminatorie. Al crescere dell’età crescono anche i livelli di distanza sociale, mentre questi sono più bassi nei giovani tra i 24 e i 35 anni. I dati Unar e l’indagine dell’Università Cattolica segnalano la necessità di un lavoro profondo e continuo nelle nostre comunità cristiane, nella scuola e nella società civile di educazione all’interculturalità e al rispetto delle differenze, al superamento delle paure crescenti, ricordate dai vescovi negli Orientamenti Educare alla vita buona del Vangelo.
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