giovedì 1 settembre 2011
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Caro direttore,è ricorso il 20esimo anniversario  dell’uccisione dell’imprenditore palermitano Libero Grassi, uno dei primi, in Sicilia, che decise di non cedere al racket e di sfidare la mafia. Era il 10 gennaio 1991, quando Grassi scrisse una lettera al "Giornale di Sicilia", che iniziava così: «Caro estortore io non ti pago». Ebbene, dopo quasi 8 mesi, il 29 agosto 1991, Cosa Nostra lo uccise con ben cinque colpi di pistola calibro 38.Quella breve ma decisa lettera pubblica di Libero Grassi rappresentò una pubblica rottura dell’omertà, contro la criminalità organizzata, e questa non glielo perdonò: ne andava di mezzo l’intero suo business. Grassi fu un uomo libero, non solo di nome, ma di fatto. E anche un Libero-imprenditore. Ed è stato anche, prima di tutto, un cittadino-onesto.Nella giornata del 29 agosto, la moglie Pina e la giornalista Chiara Caprì hanno onorato la figura e la memoria di Libero Grassi, nel ventennale della sua scomparsa, affiggendo sul luogo del delitto il solito manifesto che dice: «Libero Grassi, imprenditore, uomo coraggioso, ucciso dalla mafia, dall’omertà dell’associazione degli industriali, dalla (quasi totale) indifferenza dei partiti».Occorre anche qui da noi, come invitava a fare il giudice Paolo Borsellino, «tentare di dar vita a un movimento culturale e morale, anche religioso – che ancora non c’è –, che coinvolga tutti, che tutti abitui a sentire il fresco profumo di libertà che si oppone al compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità».Angelo Simonazzi, Poviglio (Re)

Angelo Simonazzi, Poviglio (Re)

Sono in tanti a battersi contro le mafie, caro avvocato Simonazzi. Forse non sono esattamente definibili un "movimento", ma sono una realtà vasta, bella e preziosa. Le cosche s’industriano a mettere radici ovunque, a imporre le loro logiche rivoltanti alternando toni e metodi suadenti, brutalità e autentica ferocia, è vero. Ma è anche vero che cresce, e si radica, anche tutt’altra e pulita consapevolezza. Non dobbiamo perciò stancarci di ripetere che la "cultura della legalità" non ha e non può avere una dimensione sola, quella del contrasto – per così dire – "militare" al crimine. È indispensabile una grande opera educativa e di mobilitazione "civile". Ognuno di noi, come lei suggerisce, deve fare la propria parte per vivere la "legalità" in prima persona, per testimoniarla e spiegarla ai più giovani: la legge è presidio contro la violenza dei prepotenti e dei malintenzionati, senza la legge o fuori da essa c’è solo il tragico dominio del più forte e del più spietato. La Chiesa italiana, incoraggiata di nuovo anche dalla forte e paterna predicazione del Papa nella visita pastorale a Palermo del 3 ottobre dello scorso anno, fa la sua parte con dedizione ed evangelico coraggio (e le nostre cronache di questi giorni registrano ancora una volta con preoccupazione e speranza quanto dura e decisiva sia la "fatica" del bene e del giusto in terre a forte presa mafiosa come la generosa e piagata Calabria). Noi, facendo il nostro mestiere, ci sforziamo di essere specchio fedele dell’Italia vera, con le sue ferite aperte e le sue straordinarie risorse umane. E cerchiamo, come sappiamo e possiamo, di dare merito e coraggio a chi, oggi, adesso, questo nostro Paese continua a cambiarlo in meglio.

Marco Tarquinio

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