giovedì 18 marzo 2010
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Il crescendo ininterrotto di conflitti tra politica e giustizia (ma sarebbe più corretto dire tra il governo e i vertici istituzionali e associativi della magistratura) tocca in queste ore un culmine forse mai raggiunto in precedenza. E nell’imminenza di una consultazione amministrativa di evidente portata nazionale, induce a serie preoccupazioni sulla tenuta complessiva del sistema. Non soltanto per la violenza dei toni e l’intensità delle rimostranze e delle repliche reciproche, ma anche per il ritmo quotidiano, incessante e ininterrotto, delle sortite polemiche e dello scambio di colpi.Si comprende bene, dunque, perché il capo dello Stato abbia scelto nuovamente di intervenire in prima persona, nel tentativo ancora una volta di imporre il "break", per usare una terminologia pugilistica purtroppo adattissima alla circostanza. Una decisione quanto mai apprezzabile sia per i modi utilizzati – una dichiarazione formale del presidente della Repubblica, rilasciata «anche nella qualità di presidente del Csm – sia per i contenuti del documento, che da ieri campeggia in apertura del sito internet del Quirinale, sotto un titolo che ne riassume l’intento: «Evitare drammatizzazioni e contrapposizioni fuorvianti sul piano istituzionale».Peccato che le prime reazioni delle parti in contesa, dopo i consensi di maniera alle parole di Giorgio Napolitano, abbiano insistito a "leggerle" esclusivamente a supporto delle proprie ragioni e a censura di quelle altrui, secondo un andazzo che si vorrebbe davvero veder superare. Ed è un ulteriore allarmante indizio dell’incarognimento verso il quale ci si sta avviando, senza il minimo segnale di resipiscenza. Un puntiglio degno di miglior causa, che forse non riuscirà a scoraggiare quanti si adoperano con saggezza per ricucire e ridare equilibrio, ma che certo può solo indurre allo sconcerto l’opinione pubblica.Volendo comunque provare, serenamente, a individuare il punto di innesco della presente crisi, non si può fare a meno di ricordare che tutto origina dall’ennesima fuga di notizie attorno a un’inchiesta nata su un terreno completamente privo di contenuti politici, ma subito "coltivata" e alimentata in direzione di ben altro bersaglio. Ed è qui che si è attivato il solito corto circuito mediatico-giudiziario all’origine dell’escalation cui stiamo assistendo, con il tradizionale pilotaggio di indiscrezioni a singhiozzo che solo il re degli ingenui potrebbe considerare frutto del caso.Vista la delicatezza della materia (ma anche la labilità delle ipotesi accusatorie, fondate su conversazioni private del presidente del Consiglio non utilizzabili a suo carico senza preventiva autorizzazione a procedere) prudenza avrebbe voluto che il caso fosse gestito con una dose supplementare di riserbo e con una verifica accurata sulla correttezza delle procedure seguite. Invece da parte degli inquirenti pugliesi si è lasciata inopinatamente scoppiare la "bomba" e se ne è difesa la legittimità, per così dire, "a prescindere". La ben nota reattività del premier e la sua irrefrenabile "predilezione" per certi tipi di battaglie hanno fatto il resto. E ieri ne abbiamo avuto un’ulteriore prova.Era proprio inevitabile che, a quel punto, scattasse la micidiale sequenza capace, nel giro di poche ore, di coinvolgere il ministro della Giustizia e il Consiglio superiore della magistratura, costringendo infine il Quirinale al suo intervento? A lume di logica, l’iniziativa di un’ispezione da parte del Guardasigilli poteva ritenersi perfino scontata: darne un’interpretazione "intimidatoria" era magari legittimo sul piano politico, ma la mobilitazione a Palazzo dei Marescialli, con la decisione di aprire una pratica per mettere gli ispettori "sotto osservazione", ha portato lo scontro a un livello ancora più alto. Non sarà un caso se solo in quel momento il Colle abbia deciso di scendere in campo e di dire la sua: certo, senza contestare la scelta compiuta dalla maggioranza del Consiglio, ma sottolineando che l’organo di autogoverno non potrà pronunciarsi prima che l’ispezione sia conclusa. Insomma, se proprio vogliamo azzardare una sintesi molto terra terra del "Napolitano pensiero" la metteremmo così: forse Alfano poteva anche risparmiarsela, certamente il Csm doveva quantomeno aspettare. Anche perché non tutte le inchieste (e le loro modalità) sono egualmente difendibili.
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