Già pochi minuti dopo il crollo la gente aveva cominciato a scavare a mani nude. Poi le fotocellule dei vigili del fuoco hanno spezzato la notte, e nella polvere i motori delle ruspe hanno preso a rombare, impennandosi al massimo sforzo quando la mole dei detriti opponeva la sua opaca resistenza. E i cingoli rabbiosamente sopra le macerie, e i cavi divelti, e le foto e i quaderni, povere cose di casa che emergevano coperte di polvere, quotidiane eppure già remote. I corpi di quei due ragazzi, sposati da otto mesi, trovati abbracciati – lei, aspettava un bambino. La gente di Afragola, nel Napoletano, li ha visti portare via, e si è sentita la rabbia percorrere la folla. Rabbia contro le case fatiscenti del Sud costruite sulle caverne di tufo, ma anche una rabbia segreta e più grande: contro la morte, che si era presa a tradimento due giovani, e il loro bambino. Che si era presa una donna vecchia e inerme. Ma, la bambina?Imma, Imma forse è viva. La voce che corre di bocca in bocca, la madre terrificata e che pure dice, con un istinto di viscere: «Mia figlia è viva». Imma forse é viva. Nelle riprese in tv abbiamo visto non solo i vigili del fuoco e la Protezione civile, ma uomini senza alcuna divisa scavare, passarsi di mano in mano secchi di macerie, affannarsi tra i detriti. Le donne sulla soglia di casa mute, ad aspettare. «L’hanno trovata, parla». Una commozione profonda che si allarga fra le vie del paese. Di quella bambina, fino a ieri una fra tante, a tanti sconosciuta, ora importa a tutti. Una casa di povera gente è crollata come fosse di carta, ci sono tre morti – quattro, quel bambino nel grembo – ma è importante per tutti, che Imma sia viva. Che ce la faccia, che esca da quella caverna che l’ha protetta e però ingoiata, e non la vuole più lasciare andare.La gente ad Afragola prega che sappiano, i vigili del fuoco, arrivare a lei fra i pertugi delle rovine; ma piano, piano, senza smuovere la trave che la incatena. Per un piede, rimasto incastrato sotto a tonnellate di macerie. Bisogna fare piano, e bisogna fare in fretta. Imma dice che vuole un gelato. Alla fragola. Il sogno di un gelato alla fragola, fresco, in quella nuvola di polvere che secca la gola e toglie il respiro. Tutto un paese aspetta. Facce coperte di polvere e sfinite, facce silenziose di donne per le vie. Quella bambina, là sotto, è diventata figlia di tutti.Bisogna che Imma viva. E non solo per lei, per sua madre, per i suoi. La bambina sepolta che chiede aiuto, che vuole uscire dal buio, sembra l’icona di una speranza di cui normalmente fra noi taciamo. Nel precipitare del male, nella distruzione, quanto vogliamo che qualcosa, che qualcuno sopravviva. Che la morte non vinca. Chi ha un po’ di anni si ricorda di Vermicino: del bambino caduto in un pozzo che si cercò in ogni modo di salvare. Per ore e ore, l’Italia con il cuore sospeso. E che silenzio, nelle case, davanti alla tv, quando si seppe che era finita.Imma doveva farcela. Un intero paese, di gente che magari normalmente si ignora, insieme a sperare per una sconosciuta bambina. Intollerabile che dovesse restare laggiù nel buio e nella polvere. Insopportabile quella tomba di macerie, per una bambina viva. Si aspettava il miracolo.Un applauso liberatorio ha accompagnato il tornare alla luce di Imma, come fosse nata di nuovo. Una gioia condivisa eppure segreta, venuta su dal profondo. Imma è tornata dal buio. La strana letizia negli occhi delle gente di Afragola, e di chi stava a guardare in tv. Siamo tutti, in fondo, ad aspettare che una speranza vinca sul buio; siamo tutti ad aspettare, senza magari saperlo, il fragore di una pietra di sepolcro rotolata.