domenica 1 agosto 2010
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Già pochi minuti dopo il crol­lo la gente aveva cominciato a scavare a mani nude. Poi le fo­tocellule dei vigili del fuoco han­no spezzato la notte, e nella pol­vere i motori delle ruspe hanno preso a rombare, impennandosi al massimo sforzo quando la mo­le dei detriti opponeva la sua o­paca resistenza. E i cingoli rab­biosamente sopra le macerie, e i cavi divelti, e le foto e i quaderni, povere cose di casa che emerge­vano coperte di polvere, quoti­diane eppure già remote. I corpi di quei due ragazzi, sposati da ot­to mesi, trovati abbracciati – lei, a­spettava un bambino. La gente di Afragola, nel Napoletano, li ha vi­sti portare via, e si è sentita la rab­bia percorrere la folla. Rabbia contro le case fatiscenti del Sud costruite sulle caverne di tufo, ma anche una rabbia segreta e più grande: contro la morte, che si e­ra presa a tradimento due giova­ni, e il loro bambino. Che si era presa una donna vecchia e iner­me. Ma, la bambina?Imma, Imma forse è viva. La vo­ce che corre di bocca in bocca, la madre terrificata e che pure dice, con un istinto di viscere: «Mia fi­glia è viva». Imma forse é viva. Nelle riprese in tv abbiamo visto non solo i vi­gili del fuoco e la Protezione civi­le, ma uomini senza alcuna divi­sa scavare, passarsi di mano in mano secchi di macerie, affan­narsi tra i detriti. Le donne sulla soglia di casa mute, ad aspettare. «L’hanno trovata, parla». Una commozione profonda che si al­larga fra le vie del paese. Di quel­la bambina, fino a ieri una fra tan­te, a tanti sconosciuta, ora im­porta a tutti. Una casa di povera gente è crollata come fosse di car­ta, ci sono tre morti – quattro, quel bambino nel grembo – ma è im­portante per tutti, che Imma sia viva. Che ce la faccia, che esca da quella caverna che l’ha protetta e però ingoiata, e non la vuole più lasciare andare.La gente ad Afragola prega che sappiano, i vigili del fuoco, arri­vare a lei fra i pertugi delle rovine; ma piano, piano, senza smuove­re la trave che la incatena. Per un piede, rimasto incastrato sotto a tonnellate di macerie. Bisogna fa­re piano, e bisogna fare in fretta. Imma dice che vuole un gelato. Alla fragola. Il sogno di un gelato alla fragola, fresco, in quella nu­vola di polvere che secca la gola e toglie il respiro. Tutto un paese a­spetta. Facce coperte di polvere e sfinite, facce silenziose di donne per le vie. Quella bambina, là sot­to, è diventata figlia di tutti.Bisogna che Imma viva. E non so­lo per lei, per sua madre, per i suoi. La bambina sepolta che chiede aiuto, che vuole uscire dal buio, sembra l’icona di una spe­ranza di cui normalmente fra noi taciamo. Nel precipitare del ma­le, nella distruzione, quanto vo­gliamo che qualcosa, che qual­cuno sopravviva. Che la morte non vinca. Chi ha un po’ di anni si ricorda di Vermicino: del bam­bino caduto in un pozzo che si cercò in ogni modo di salvare. Per ore e ore, l’Italia con il cuore so­speso. E che silenzio, nelle case, davanti alla tv, quando si seppe che era finita.Imma doveva farcela. Un intero paese, di gente che magari nor­malmente si ignora, insieme a sperare per una sconosciuta bambina. Intollerabile che do­vesse restare laggiù nel buio e nel­la polvere. Insopportabile quella tomba di macerie, per una bam­bina viva. Si aspettava il miraco­lo.Un applauso liberatorio ha ac­compagnato il tornare alla luce di Imma, come fosse nata di nuovo. Una gioia condivisa eppure se­greta, venuta su dal profondo. Im­ma è tornata dal buio. La strana letizia negli occhi delle gente di Afragola, e di chi stava a guarda­re in tv. Siamo tutti, in fondo, ad aspettare che una speranza vinca sul buio; siamo tutti ad aspettare, senza magari saperlo, il fragore di una pietra di sepolcro rotolata.
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